Roma, 4 mar – Negli ultimi anni abbiamo assistito alla nascita di diversi strumenti finanziari destinati a supportare le piccole e medie imprese. Tra questi, i più importanti sono i Piani Individuali di Risparmio (PIR) e gli European Long Term Investments Funds (ELTIF). In attesa delle novità sui PIR che verranno introdotte con i decreti attuativi della legge di bilancio, il Centro Studi October, la piattaforma di P2P lending leader in Europa continentale per il finanziamento online per le imprese, ha confrontato i due strumenti che, nonostante la finalità comune, presentano caratteristiche diverse.
“PIR ed ELTIF – spiega Sergio Zocchi, CEO di October Italia -sono due diversi strumenti che rappresentano un grande passo in avanti nel veicolare il risparmio, privato e istituzionale, verso le piccole e medie imprese. La possibilità di impiegare risorse in una gamma molto ampia di strumenti finanziari (oltre i titoli di equity e debito), insieme alla struttura chiusa del fondo, rendono gli ELTIF un modo molto efficace di veicolare risorse a favore delle PMI. Dall’altro lato, solo estendendo i PIR a nuove asset class (tra cui i bond di distretto e i nuovi basket bond, il private debt, il private equity e le forme di permanent capital) si potrebbero incrementare le risorse dirette sull’economia reale a beneficio delle imprese che ne hanno veramente bisogno”.
Che struttura hanno e a chi sono rivolti questi due strumenti?
Una prima differenza fondamentale tra PIR ed ELTIF riguarda la struttura dello strumento.
I PIR non sono dei veri e propri veicoli ma dei “contenitori fiscali” che possono accogliere al proprio interno diverse tipologie di strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, ETF ecc). Uno dei tratti più significativi dei PIR riguarda il regime di esenzione fiscale: se vengono rispettate le norme sui sottostanti e se lo strumento viene detenuto per almeno 5 anni, non si applicheranno né le imposte sulle rendite da capitale né quelle successorie.
Gli ELTIF invece non godono di benefici fiscale e la loro struttura è profondamente diversa. Non sono contenitori fiscali ma veri e propri fondi chiusi di investimento. Questa distinzione, solo apparentemente formale è invece molto importante. La struttura dei fondi chiusi fa sì che i capitali raccolti dagli investitori possano essere rimborsati solo a scadenza o dopo un lasso di tempo specificato dal regolamento del fondo. I capitali dunque sono impiegati secondo un orizzonte temporale che non è di breve ma di lungo periodo.
Un’altra differenza importante riguarda i sottostanti su cui possono essere impiegate le risorse raccolte.
Gli importi raccolti coi PIR devono essere investiti, al 70%, su titoli emessi da aziende italiane o comunitarie con stabile organizzazione nel nostro paese. In ogni caso, il 21% complessivo deve essere rivolto specificatamente su titoli emessi da aziende quotate in segmenti diversi rispetto al FTSE MIB (MidCap, Star, Standard o AIM.).
I gestori italiani che, negli ultimi anni, si sono impegnati a collocare i PIR tra i risparmiatori, hanno convogliato le risorse in fondi aperti PIR compliant, decidendo dunque di privilegiare l’investimento su titoli molto liquidi (prevalentemente azioni di società già quotate) evitando così investimenti azionari illiquidi. Privilegiando, però, strumenti immediatamente liquidabili, l’effetto è stato quello di gonfiare le quotazioni di imprese i cui titoli erano già negoziati sui mercati regolamentati.
Invece, i capitali raccolti negli ELTIF possono essere investiti in un’ampia gamma di sottostanti che non si esaurisce solo in titoli di debito o di equity di aziende già quotate ma abbraccia anche il private debt, i minibond e le piattaforme fintech.
Accanto al rischio geografico (i PIR sono destinati esclusivamente ad aziende attive sul mercato italiano), va considerato anche quello intrinseco degli strumenti su cui si può investire con i PIR. Infatti, i titoli detenibili in portafoglio sono emessi da imprese di piccola/media capitalizzazione. La nuova legge di Bilancio ha, inoltre, modificato la disciplina dei PIR, imponendo l’obbligo di investire il 7% del capitale su fondi di Venture Capital e su azioni emesse da società quotate sul mercato AIM, strumenti il cui profilo di rischio mal si concilia con quello dei risparmiatori retail. Gli ELTIF, invece, si muovono in un’ottica di lungo periodo che offre agli investitori dei profili di diversificazione interessanti e de-correlati rispetto all’andamento dei mercati finanziari.