Roma, 16 mag – Con uno studio pubblicato su Nature Scientific Reports sugli ooidi (piccoli granuli inferiori ai 2mm) di ferro rinvenuti al largo dell’isola di Panarea, sono stati scoperti i processi che hanno verosimilmente prodotto anche alcune delle rocce più antiche del nostro pianeta ed analoghe concrezioni identificate su Marte, il pianeta rosso. Lo rende noto l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV).
In uno studio condotto sulle sabbie idrotermali provenienti da un deposito al largo dell’isola di Panarea, sono stati analizzati i cd. “iron-ooids”, ovvero granelli di sabbia con un nucleo e una corteccia esterna di lamine concentriche costituite da minerali di ferro. Dalla ricerca è emerso un eccezionale, unico ritrovamento di un deposito di iron-ooids ancora in formazione sul fondo del mare ad una profondità di 80 metri su un’area caratterizzata da intensa attività idrotermale dell’isola vulcanica a nord della Sicilia.
Dallo studio integrato, effettuato mediante diffrazione a raggi X, microscopia elettronica, fluorescenza a raggi X e spettroscopia Raman, sono emerse informazioni finora non conosciute sui processi che hanno portato alla formazione degli analoghi depositi presenti nelle rocce più antiche della Terra e nei suoli di Marte. Infatti, la conoscenza che queste sabbie (iron ooids) si stiano formando oggi a causa del fenomeno dell’idrotermalismo sottomarino, ha implicazioni importanti per la comprensione sia dei processi geologici che hanno interessato il nostro pianeta nella prima fase della sua formazione sia per la comprensione dell’evoluzione geologica del Pianeta Rosso, consolidando l’importanza dei sistemi idrotermali sottomarini per l’origine della vita sulla Terra e, quindi, della presenza di acqua e di possibili forme di vita nel passato geologico di Marte.
I risultati proposti modellizzano un possibile processo responsabile della formazione degli ooidi e forniscono una nuova visione della genesi dei depositi di ooidi di ferro distribuiti su scala globale sia in sedimenti moderni che passati.
Lo studio è stato condotto dai ricercatori della Sezione di Palermo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), unitamente ai ricercatori del Dipartimento di Scienze Matematiche e Informatiche Fisiche e della Terra (MIFT) dell’Università di Messina, del Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche (DSCG) dell’Università di Modena-Reggio Emilia, del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e Ambientali (BiGeA) dell’Università di Bologna e del Centre de Biophysique Moléculaire (CNRS) di Orléans (Francia).