Roma, 14 giu – Hong Kong vive un momento cruciale della transizione iniziata nel 1997, quando la Gran Bretagna restituì alla Cina l’ex colonia sulla base di un accordo che ha sancito il principio di “uno stato, due sistemi”. I primi a capirlo sono stati i suoi cittadini, soprattutto i giovani, che sono scesi in piazza domenica scorsa in più di un milione, secondo gli organizzatori della manifestazione, e che ieri hanno presidiato le strade della città a fronte di una reazione della polizia molto dura.
Il grimaldello col quale, secondo i manifestanti, Pechino vuole scardinare un pezzo cruciale della semi-autonomia dell’ex colonia è la legge sull’estradizione. Hong Kong, che ha accordi di estradizione con una ventina di paesi, non ha in effetti con Pechino, dove gli standard di difesa per gli imputati sono scadenti. Dal punto di vista dei dimostranti, si tratta di un proposta normativa estremamente pericolosa, perché darebbe alla Cina uno strumento per mettere in gabbia gli oppositori politici anche a Hong Kong, dove tutt’ora ci sono ampi margini di libertà di parola.
Pechino, per bocca del portavoce del ministero degli Esteri Geng Shuang, ha assicurato che la decisione di procedere su una norma sull’estradizione non è stata presa su input suo, ma è stata una libera scelta di Hong Kong. La leader Carrie Lam, dal canto suo, ieri ha affermato che chi si è scontrato in piazza “non vuole bene a Hong Kong” e ha accusato i manifestanti per le violenze che ci sono state ieri in piazza.
La polizia negli scontri di mercoledì scorso ha sparato 150 cariche di gas lacrimogeni, il doppio di quelle utilizzate nel 2014 durante il movimento Occupy, noto come ‘la rivoluzione degli ombrelli’. Sono stati sparati anche proiettili e di gomma ed è stato usato spray urticante attorno al LegCo (il Consiglio legislativo). A dare queste notizie non sono stati i dimostranti, ma lo stesso capo della polizia Stephen Lo Wai-chung, il quale nello stesso tempo ha respinto l’accusa di un uso eccessivo della forza.
Accusa che, invece, è arrivata dall’estero. Maja Kovancevic, la portavoce del capo della diplomazia europea Federica Mogherini, ha chiesto ieri il “rispetto” dei diritti dei manifestanti di Hong Kong. Gli ha risposto oggi il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang, che ha parlato di un'”ingerenza” Ue e di frasi “irresponsabili e inesatte”.
Intanto un risultato i manifestanti l’hanno ottenuto: della legge ieri non s’è discusso al LegCo e non succederà neanche venerdì. Ma la pressione va mantenuta, secondo gli organizzatori. Così domenica ci sarà una nuova manifestazione, col rischio di ulteriori tensioni.
Il testo del provvedimento, che dovrebbe essere approvato entro il 20 giugno, consentirebbe richieste di estradizione dalle autorità di Cina, Taiwan e Macao per indagati accusati di reati penali quali omicidio e stupro. Le richieste, se avanzate ufficialmente, sarebbero esaminate caso per caso.
Il disegno di legge arriva dopo che un diciannovenne di Hong Kong ha ucciso la sua fidanzata incinta di 20 anni mentre erano in vacanza a Taiwan, nel febbraio dello scorso anno. L’uomo è fuggito a Hong Kong e non può essere estradato a Taiwan perché non esiste un trattato di estradizione bilaterale.