Milano, 18 giu – All’inizio di tutto, anche del nostro modo di immaginare qualcosa che ha a che fare con noi stessi, c’è l’Ofelia di John Everett Millais. Una di quelle icone della pittura moderna che sono entrate nell’immaginario collettivo, senza però perdere del tutto la sua aura altra e la sua forza di segreta condanna al principe Amleto, anche quello che vive dentro ognuno di noi.
L’occasione per rivederla è la mostra “Preraffaelliti – Amore e desiderio”, che porta a Palazzo Reale a Milano la collezione della Tate di Londra, con la curatela di Carol Jacobi.
Un’esposizione che vuole ricostruire il clima di fermento degli anni intorno al 1848, quando un gruppo di giovani pittori britannici decise di ribellarsi alle convenzioni e alla maniera.
L’esito è stato spesso quella “modernità medievale” che ancora oggi colpisce, soprattutto per la commistione amorosa con le storie che i Preraffaelliti andavano dipingendo. Tanto che la sensazione che si percepisce aggirandosi nelle sale di Palazzo Reale – dove la luce degli allestimenti continua a essere un tema che meriterebbe più attenzione – è quella di una sorta di estasi quotidiana, di una ricerca di momenti strazianti, in molti sensi, ma calati in una pittura che guarda alla naturalezza della vita.
E poi ci sono, come nel caso di Ofelia, i capolavori: la “Beata Beatrix” di Dante Gabriel Rossetti è un monumento alla bellezza e alla ricerca di simboli in pittura che possano dare un senso, filosofico, ma anche di vero e proprio oggetto, alla memoria della moglie del pittore. E in quegli occhi chiusi ancora oggi possiamo immaginare una visione più grande della vita, che fa il paio con gli occhi aperti di Ofelia davanti alla follia grottesca della tragedia, di Shakespeare e di ogni giorno.