Roma, 25 lug – La diagnosi del Parkinson potrà essere effettuata anche attraverso un semplice prelievo di sangue. Lo scenario è prospettato da un lavoro recentemente pubblicato sulla rivista internazionale “Metabolomics” da un team di ricercatori dell’Istituto Italiano di Tecnologia, in collaborazione con la Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige e la Fondazione Santa Lucia di Roma. Lo studio svela il rapporto tra alcuni tipi di lipidi (grassi) misurabili nel sangue e prodotti dalla nostra flora intestinale (microbiota) e la malattia di Parkinson, soprattutto nelle donne. Oltre ad offrire un nuovo futuro strumento diagnostico, i risultati suggeriscono che le alterazioni nella popolazione di batteri che vivono dentro il nostro intestino potrebbero essere associate all’insorgenza della malattia.
La ricerca è stata effettuata analizzando il sangue di 587 individui (268 malati e 319 sani suddivisi in 294 donne e 293 uomini) e i risultati mostrano che la concentrazione di sette particolari lipidi, chiamati NAPE (N-acil fosfatidiletanolammine), nel sangue dei soggetti affetti da Parkinson è diminuita di circa il 15% rispetto agli individui sani. Per ragioni attualmente sconosciute, tale diminuzione risulta significativamente più marcata nelle donne, fino a raggiungere anche il 25%.
Nel caso in cui le cellule che compongono il nostro cervello vengano danneggiate, come appunto avviene nella malattia di Parkinson, esse “prelevano” i NAPE dal sangue diminuendone la concentrazione circolante nel nostro organismo. Questa scoperta ha portato il team di ricercatori ad ipotizzare che una alterazione della flora intestinale, dove vengono prodotti questi lipidi, possa portare ad un aumento della probabilità di insorgenza della malattia di Parkinson.
“Il nostro studio dimostra che questi lipidi plasmatici, facili da misurare con un semplice prelievo di sangue, hanno il potenziale per diventare, dopo doverosi studi di verifica e validazione, un indicatore efficace della malattia di Parkinson. La vera sfida è adesso capire quanto precocemente possiamo usare i NAPE per predire l’insorgenza futura del Parkinson”, racconta Andrea Armirotti ricercatore IIT fra i coordinatori dello studio. Tale tecnica potrebbe, nel giro di pochi anni, essere utilizzata nella pratica clinica come procedura di screening diagnostico a basso costo.