Roma, 19 lug – “Uno dei fattori più importanti delle imprese spaziali è il cambio di prospettiva, il vedere il nostro pianeta da un altro punto di vista. Le missioni Apollo ci hanno consentito di osservare la Terra da distanze enormi e questo è servito a farci comprendere quanto piccola essa sia e anche fragile: intorno a questa magnifica sfera azzurra, infatti, non c’è nulla, a parte il vuoto. E quando si torna, questa esperienza ci permette di capire meglio i problemi che lo affliggono e la sua importanza, che spesso ci dimentichiamo, come ci dimentichiamo che la Terra ci ospita tutti: mentre noi non possiamo fare a meno di lei, lei può fare a meno di noi”. Così Umberto Guidoni, primo astronauta europeo a visitare la Stazione Spaziale Internazionale nel 2001, ai microfoni di Radio Cusano Campus in occasione del 50 esimo anniversario dell’allunaggio.
“Gli astronauti sono persone normali, che si addestrano con grande professionalità ad affrontare le difficoltà, con la collaborazione di tante altre persone delle quali loro rappresentano la punta della piramide. Trovo che questo sia una messaggio positivo perché ci dice che non c’è bisogno di imprese al limite della fantascienza. Con il grande lavoro e lo studio, non ci sono limiti a quello che l’uomo può raggiungere”. L’assenza, oggi, del “sogno” e della visione di lungo periodo. C’è un cambio di passo per quanto riguarda le missioni spaziali. Ma credo che, nella nostra società contemporanea, manchi una visione di lungo periodo”.
“La missione Apollo è stato il sogno di un’intera generazione, che l’umanità potesse davvero lasciare la Terra e avventurarsi nello Spazio. Quello dell’Apollo 11 rimase un episodio eccitante ma isolato, se pensiamo che in questi cinquant’anni solo poco più di 500 persone hanno volato nello Spazio. Mi auguro che, nei prossimi cinquanta, siano migliaia se non milioni, che ci sia cioè la volontà di portare avanti questo sogno, magari anche con l’ingresso di finanziatori privati, come sta accadendo in questo periodo”.
Quanto a Michael Collins, l’unico dell’Apollo 11 a non scendere sulla Luna, “il suo – afferma Guidoni – fu un ruolo difficile non solo perché fu l’unico della missione a non scendere sulla superficie lunare – come fecero Neil Armstrong e Edwin ‘Buzz’ Aldrin – ma soprattutto per la solitudine e la responsabilità. Solitudine perché, quando girò nella parte oscura della Luna, si ritrovò per quasi mezz’ora isolato dal resto dell’umanità. E poi la responsabilità. Se Armstrong e Aldrin non fossero riusciti a ripartire dalla superficie lunare, lui avrebbe dovuto prendere quella che egli stesso definisce la decisione più difficile della sua vita, cioè quella di abbandonarli”.
“Marte sarà senza dubbio la nostra ‘destinazione finale’ per i prossimi 20-30 anni. Il 20 luglio 1969 fu un momento storico per tutta l’umanità e, cinquant’anni dopo, ci rimettiamo in marcia, con l’idea di utilizzare la luna per estrarre materie prime e proprio come banco di prova per le tecnologie che ci porteranno sul Pianeta Rosso”.