Roma, 19 ago – Nel quadriennio 2015-18, la produttività media del lavoro dell’industria manifatturiera italiana è aumentata complessivamente del 9,3% in termini reali, contro una crescita del 7,5% in Francia, del 7,1% in Germania e del 3,4% in Spagna. E’ quanto rileva l’economista Marco Fortis in un’analisi sul “Sole 24 Ore”. Un risultato notevole, anche perché la nostra produttività manifatturiera non era mai cresciuta così tanto nei precedenti quattro quadrienni dell’era dell’euro. Dunque, non è affatto scritto nella pietra che l’Italia debba essere sempre ultima in Europa, tanto meno nella dinamica della produttività. Per marcare un cambio di passo era infatti sufficiente mettere le imprese nelle condizioni di lavorare al meglio, con riforme che rendessero più efficienti e incentivanti i mercati del lavoro e dei beni capitali. Purtroppo, questa via, che era stata coraggiosamente imboccata soprattutto nel triennio 2015-17, sembra ora compromessa dalla marcia indietro politica e decisionale che ha paralizzato il Paese nell’ultimo anno, riportandolo a logiche elettorali di deficit spending e di assistenzialismo che sono di per sé generalmente dannose, ma che lo sono ancora di più oggi considerando anche il rallentamento economico in corso che richiederebbe invece urgenti interventi pro crescita.
ll primato della manifattura – Anche analizzando comparativamente, per settori e per classi di addetti, la produttività manifatturiera italiana emergono dati per molti aspetti sorprendenti. Infatti – continua Fortis -, le più recenti statistiche strutturali dettagliate di Eurostat, relative al 2016, fotografano un ostato di salute della manifattura italiana post-crisi eccellente. Intanto scopriamo che a livello aggregato la produttività del lavoro italiana nella manifattura è la più alta tra quattro maggiori Paesi euro nelle imprese piccole da 20 a 49 addetti e in quelle medie da 50 a 249 addetti, cioè nell’ossatura del nostro cosiddetto “quarto capitalismo”. Inoltre, il nostro manifatturiero è secondo per produttività solo alle imprese francesi anche nella classe 10-19 addetti. Ciò nonostante, nel confronto con la Germania presa come benchmark, si potrebbe obiettare che la nostra produttività media manifatturiera complessiva (61.400 euro per occupato) è molto inferiore a quella tedesca (77.400 euro). E facile sarebbe la tentazione di scaricare sulla nostra piccola dimensione di impresa la presunta causa principale di tale divario. Ma non è così. Vivisezionando i dati della produttività, infatti, scopriamo che sono soprattutto i settori di specializzazione e solo secondariamente le dimensioni di azienda a fare la differenza. Infatti, senza l’automotive, in cui le grandi imprese tedesche eccellono non solo a livello europeo ma mondiale, la produttività del lavoro manifatturiero è più alta in Italia che in Germania anche nelle grandi imprese con oltre 250 addetti!
Il peso delle microimprese – Cioè, senza automotive la produttività media manifatturiera tedesca è superiore a quella italiana esclusivamente nelle microimprese con meno di 10 addetti e se noi e i tedeschi “rinunciassimo”a queste ultime essa diventerebbe all’incirca uguale. Ma “rinunciare” alle nostre microimprese solo per inseguire un “primato statistico” teorico e eguagliare a tutti i costi la Germania per produttività media aggregata mani-fatturiera non avrebbe alcun senso. Infatti, privandosi delle sue microimprese manifatturiere l’Italia non soltanto perderebbe una rete nevralgica di relazioni e subforniture, specie all’interno dei suoi distretti industriali, ma si vedrebbe anche amputata dei circa 25 miliardi di Pil e dei circa 900mila occupati delle sue stesse microimprese. Emblematico è il caso dei settori tradizionali. Nel settore tessile, ad esempio, la Germania ci batte per produttività aggregata (53mila euro per occupato contro i nostri 50mila). Se noi e i tedeschi “rinunciassimo” ad avere le microimprese tessili con meno di 10 occupati, la nostra produttività media statisticamente migliorerebbe e supererebbe quella tedesca (59mila euro contro 55mila).Inoltre, resteremmo comunque il primo Paese tessile dell’Ue, con un valore aggiunto di 1 miliardo e 200 milioni di euro più alto di quello tedesco. Ma perché mai,solo per innalzare la nostra produttività, dovremmo “rinunciare”agli oltre 800 milioni di euro e agli oltre 31 mila occupati garantiti dalle nostre microimprese tessili? Un discorso analogo vale anche per altri settori della manifattura tradizionale come ad esempio i mobili. In questo settore, senza le microimprese la nostra produttività media supererebbe quella tedesca, ma perderemmo oltre miliardo di euro di valore aggiunto e oltre 40mila occupati.