Roma, 5 set. – Dai tempi del lancio di BancoPosta, quando era un giovane attore cresciuto nella scuola di Gigi Proietti e reduce dalla gavetta teatrale, Flavio Insinna è uno dei volti più familiari per Poste Italiane e per i nostri clienti. Da allora le strade di Poste Italiane e del presentatore televisivo si sono incontrate più volte, fino alla più recente telepromozione di Poste Mobile Casa Facile, nella quale si illustrano i vantaggi dell’offerta telefonica con un’attrice che interpreta la zia di Flavio. Di ricordi legati alle Poste, ai postini e alle lettere – quelle che ancora oggi riceve dagli ammiratori (e soprattutto dalle ammiratrici) – Flavio, che non ha un buon rapporto con le e-mail, ne ha molti e significativi e li racconta ammettendo: «Non mi sono mai vergognato degli eccessi romantici».

Flavio, che rapporto hai con le lettere?

«Voglio rispondere affidandomi a un mix di istinto e sentimento. Dietro all’invio di una lettera c’è sempre un investimento di tempo, forse la cosa più preziosa che abbiamo nella vita. E spenderlo per gli altri è una cosa importante. Ricordo una signora che mi scrisse dall’estero, aveva una bruttissima malattia. Le risposi inviandole una foto con dedica e lei, dopo qualche tempo, mi scrisse di nuovo dicendomi che il mio sorriso sul comodino le aveva dato tanta forza e compagnia nell’affrontare il dolore. È stata un’emozione e anche una piccola lezione: da allora dico sempre a mia madre di aprire tutte le lettere che la gente mi scrive. Quando ci sono storie che riguardano bambini o persone che hanno bisogno di ritrovare un sorriso rispondo sempre volentieri».

Dietro a una lettera c’è sempre un postino…

«Mio padre era ufficiale medico in Marina e raccontava sempre un episodio risalente alla fine degli anni ’50. A Stoccolma venne accompagnato da una guida a visitare la città e a un certo punto passò un uomo che indossava una divisa elegantissima. Quando chiese di quale “corpo militare” si trattasse la guida rispose: “Quello è l’uomo più importante della città, è il postino. Senza di lui non ci sarebbero né le lettere d’amore né le comunicazioni ufficiali”».

Oggi le e-mail e whatsapp hanno cambiato tutto. C’è qualcosa che ti manca?

«Non voglio fare a tutti i costi il passatista, ma ricordo con grande emozione le cartoline: per esempio, quelle che io e mia sorella ci scrivevamo con mio padre quando andavamo al mare d’estate. Eravamo a un’ora da Roma ma sembrava che arrivassero dall’altra parte del mondo… Mi ricordo che in vacanza, che fosse al mare o in montagna, c’era sempre il pomeriggio dedicato alle cartoline. Così come conservo quelle che mia nonna ci scriveva dai suoi viaggi o quelle dei tempi di quando ero in servizio militare. Quando le ritrovo, magari infilate in qualche libro, è sempre una piacevole sorpresa».

Anche il cinema e il teatro vivono di questo romanticismo. Hai progetti legati a questo tuo animo retrò?

«Con un mio caro amico, Fabio Masi, stiamo portando nelle carceri lo spettacolo “Cento lettere” interpretato dai detenuti di Pescara e basato sul suo rapporto epistolare con uno di loro. A volte non ci rendiamo conto di quanto sia ancora “potente” il mezzo più vecchio di tutti, l’unico consentito in luoghi come il carcere».

Come è nato, invece, il tuo rapporto con Poste Italiane e che ricordo hai dei primi spot girati per BancoPosta?

«All’epoca la gente non mi conosceva ed ebbi il piacere e l’onore di lavorare con il grande Ferzan Ozpetek. I suoi spot erano piccoli capolavori, che univano la pubblicità al cinema e al senso estetico. Negli anni successivi ci fu la campagna sui pacchi: all’epoca presentavo “Affari tuoi” e mi venne spontaneo propormi per il ruolo di chi li consegnava. Con Poste ci siamo simpatici, ci divertiamo e continuiamo a collaborare».

Negli spot e nelle televendite di Poste interpreti la semplicità, la normalità che le persone si aspettano dai portalettere e da tutti i servizi di Poste Italiane. Secondo te oggi la semplicità è un valore?

«Nel 2016 feci un programma sugli Europei di calcio su Rai Uno e imparai una frase bellissima di Johan Cruijff: “Giocare a calcio è semplice, ma giocare un calcio semplice è la cosa più difficile”. Penso che questa massima di un grande campione si possa applicare anche alla vita: dovrebbe essere la cosa più semplice, ma renderla semplice agli altri è la cosa più difficile del mondo. In un Paese così complicato come il nostro c’è davvero bisogno di riscoprire la semplicità».

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