Roma, 11 set – Continua ad aumentare la tassa rifiuti per cittadini e imprese: nel 2018 è arrivata complessivamente a 9,5 miliardi di euro con un incremento, dal 2010, del 76% (+4,1 miliardi di euro). Lo scostamento dai fabbisogni standard è una delle principali cause dell’aumento dei costi di gestione dei rifiuti: in Piemonte, Basilicata e Calabria gli scostamenti maggiori, Toscana e Abruzzo le regioni più virtuose. C’è inoltre un aumento generalizzato anche per la Tari pro-capite: la più elevata nel Lazio (261 euro), la più bassa in Molise (130 euro). E a fronte di costi sempre più alti, calano livello e quantità dei servizi offerti dalle amministrazioni locali: solo 5 regioni (Emilia Romagna, Lombardia, Marche, Piemonte e Veneto) si collocano sopra il livello di sufficienza. Questi i principali risultati del secondo monitoraggio dell’Osservatorio Tasse locali di Confcommercio.

Nonostante ciò, sottolinea lo studio, a quasi tutte le categorie merceologiche si continuano ad applicare coefficienti tariffari in crescita. Tra le attività che pagano di più, ortofrutta, fiorai e pescherie (24,3 euro al mq), i maggiori aumenti per discoteche, ristoranti, negozi di abbigliamento, librerie.

Alla luce di questi risultati, Confcommercio auspica che la nuova Arera, Autorità dell’energia elettrica e del gas che ha assorbito le competenze di regolazione e controllo sul ciclo dei rifiuti urbani, “possa intraprendere un dialogo costruttivo con gli operatori e le associazioni imprenditoriali per avviare una riforma complessiva della fiscalità locale legata alla gestione dei rifiuti”.

Per Patrizia Di Dio, membro di Giunta di Confcommercio con delega all’ambiente, la proposta è quella di “avviare con urgenza azioni concrete affinché si limiti la libertà fino ad ora concessa ai Comuni di poter determinare il costo dei piani finanziari includendo voci di costo improprie, come i costi del personale, vincolando gli enti locali al rispetto di norme di legge come quella che li obbliga a tenere conto dei fabbisogni. Un servizio efficiente di raccolta e gestione dei rifiuti urbani non può che portare benefici all’ambiente, ma anche a quell’irrinunciabile esigenza di decoro, di immagine e di igiene pubblica che dovrebbe caratterizzare normalmente le nostre città. Invece, da anni – afferma – registriamo situazioni critiche specialmente in molte città del Sud. Pretendere un servizio adeguato non è solo un’azione a tutela delle imprese ma anche e soprattutto un’azione a tutela di tutti i cittadini e della loro salute. Una città libera dai rifiuti, decorosa e pulita non può che accrescere quel senso civico che invece si sta perdendo e che rischia di alimentare una pericolosissima deriva culturale”.

Dall’analisi dei dati dell’Osservatorio, inoltre, si registrano incrementi generalizzati della Tari sulla totalità dei capoluoghi di provincia. Un dato ancor più preoccupante, quello registrato nell’ultimo anno, considerando che proprio il 2018 avrebbe dovuto rappresentare una svolta. Dal 1 gennaio 2018, infatti, secondo quanto previsto dalla legge (comma 653 dell’articolo 1 della legge 147 del 2013) i comuni avrebbero dovuto avvalersi anche delle risultanze dei fabbisogni standard nella determinazione dei costi relativi al servizio di smaltimento dei rifiuti. I costi del servizio inseriti nel piano finanziario rappresentano il principale fattore che determina poi le tariffe pagate dalle diverse utenze domestiche e non domestiche.