Roma, 24 set – La trade war tra Usa e Cina sta portando sempre più imprese a spostare la produzione in altri paesi asiatici, primo fra tutti il Vietnam. Nei primi quattro mesi del 2019 questo Paese ha attirato investimenti esteri per 14,59 miliardi di dollari, con un aumento dell’81% rispetto allo stesso periodo del 2018. Protagoniste soprattutto imprese del settore manifatturiero e high-tech, fra le quali anche realtà italiane specialiste in componentistica per la meccatronica.
A fare la differenza rispetto alla mera delocalizzazione c’è la conoscenza delle dinamiche specifiche del Vietnam e lo stretto rapporto con i produttori locali, che garantisce gli alti standard che i clienti desiderano, evitando in più i problemi derivanti dalla guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina.
Tutto facile, dunque? No, perché sul Vietnam ci sono alcuni miti da sfatare. Il primo è che sia sinonimo di low cost. Non è così perché il costo del lavoro, pur essendo minore rispetto alla Cina, non è così basso da comportare un risparmio significativo. Il tessuto industriale ha grosse potenzialità e si sta orientando su produzioni di alto livello. C’è un mercato consolidato costituito dalle aziende high-tech di Corea del Sud e Giappone, che ovviamente richiedono ai fornitori locali alti standard.
Inoltre, in Vietnam ci sono da considerare gli extra costi di logistica. Occorre pertanto fare attenzione e pianificare bene gli investimenti perché il reperimento e la movimentazione delle merci possono rivelarsi molto laboriosi. Insomma, partire da zero in Vietnam non è semplice. Bisogna sapere come muoversi e le realtà di successo sono frutto di molto lavoro. La concorrenza ormai è alta. Bisogna essere veloci perché moltissimi produttori, anche cinesi, si spostano fuori dalla Cina.