Roma, 27 set – Negli ultimi venti anni è sparita quasi una pianta da frutto su quattro, fra mele, pere, pesche, arance, albicocche e altri frutti con un gravissimo danno produttivo ed ambientale per il ruolo che svolgono nella mitigazione del clima anche ripulendo l’aria dall’anidride carbonica e dalle sostanze inquinanti come le polveri PM10. E’ quanto emerge dal Rapporto Coldiretti su “Sos Clima per l’agricoltura italiana” diffuso al Villaggio contadino di Bologna con l’Arca di Noè della fattoria italiana con animali, piante e cibi a rischio di estinzione e decine di migliaia di agricoltori, giovani e studenti con il presidente Ettore Prandini nel giorno del terzo sciopero mondiale per il clima.
Il “frutteto italiano” ha visto un crollo netto del 23% nello spazio di un ventennio secondo un’analisi Coldiretti su dati Istat. Il taglio maggiore – sottolinea la Coldiretti – ha interessato pesche e nettarine con la superficie quasi dimezzata (-38 %), seguiti da uva da tavola (-35%), pere (-34 %), limoni (-27%), arance (-23%), mele (-17%), clementine e mandarini (-3%).
Un danno economico ed occupazionale rilevante per il Sistema Paese – continua Coldiretti – ma che colpisce anche l’ambiente, poiché con la scomparsa dei frutteti viene a mancare il prezioso ruolo di contrasto dell’inquinamento e del cambiamento climatico svolto proprio dalle piante, capaci di ripulire l’aria da migliaia di chili di anidride carbonica e sostanze inquinanti come le polveri PM10. Basti pensare – prosegue Coldiretti – che la superficie italiana destinata a colture legnose (frutteti, vigneti, ecc.) è di circa 2.5 milioni di ettari, che corrispondono al 25% della superficie boschiva italiana. Non a caso recenti studi hanno sottolineato il ruolo positivo della frutticoltura nella tutela dell’ambiente – spiega Coldiretti – proprio per la capacità di catturare Co2, ruolo che potrebbe ulteriormente crescere con l’adozione di tecniche colturali finalizzate non solo alla produzione di frutta ma anche alla lotta all’inquinamento. Un ettaro di frutteto – spiega la Coldiretti – in produzione è in grado di catturare 20mila kg di anidride carbonica (CO2) all’anno, bloccando anche le pericolose polveri sottili PM10 e abbassando la temperatura dell’ambiente circostante durante le estati più calde e afose. Non a caso la differenza di temperatura estiva delle aree urbane rispetto a quelle rurali raggiunge spesso valori superiori a 2°C nelle città più grandi, secondo uno studio Ispra.
Le emissioni inquinanti, se non verranno ridotte entro la fine del secolo, potrebbero causare un calo del 20% della produzione di grano, del 40% di quella della soia e addirittura del 50% di quella del mais, secondo uno studio pubblicato su Nature Communications. Ma i cambiamenti climatici hanno – spiega Coldiretti – un impatto negativo anche sullo stesso valore dei terreni che, secondo il rapporto dell’Agenzia Ue per l’ambiente (EEA), potrebbero subire una perdita tra il 34 e il 60% nei prossimi decenni rispetto alle quotazioni attuali proprio a causa dell’innalzamento delle temperature, che minaccia anche i redditi agricoli e rischia di far aumentare la domanda di acqua per l’irrigazione dal 4 al 18%.
Un conto salato per un’agricoltura che ha già perso negli ultimi dieci anni ben 14 miliardi di euro tra danni alla produzione agricola nazionale e alle strutture e alle infrastrutture a causa delle anomalie del clima con una tendenza alla tropicalizzazione che – rileva la Coldiretti – si manifesta con una più elevata frequenza di manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal sole al maltempo, con sbalzi termici significativi che compromettono le coltivazioni.
“Mettere più frutta italiana nelle bibite per far tornare conveniente piantare alberi nel nostro Paese sarebbe la vera svolta green che aiuta l’ambiente, la salute e l’economia e l’occupazione Made in Italy”, afferma il presidente della Coldiretti Ettore Prandini sottolineando che invece “si continua a tollerare la presenza nelle bevande analcoliche di appena il 12% di frutta senza neanche l’obbligo di indicarne la provenienza, con un inganno per i consumatori ed un danno per i produttori. Occorre dire basta alle aranciate senza arance ed impegnarsi concretamente – conclude Prandini – nell’educazione alimentare a partire dalle scuole anche con l’aiuto dei nuovi distributori automatici di snack dove acquistare frutta fresca, disidratata o spremute al 100% italiane”.