Roma, 15 ott – Nel 2017 sono 3 milioni e 700 mila le unità di lavoro a tempo pieno in condizione di non regolarità, occupate in prevalenza come dipendenti (2 milioni e 696 mila unità). L’aumento della componente non regolare (+0,7% rispetto al 2016) segna la ripresa di un fenomeno che nel 2016 si era invece attenuato (-0,7% rispetto al 2015). E’ la fotografia scattata dall’Istat.
Il ricorso al lavoro non regolare da parte di imprese e famiglie è una caratteristica strutturale del mercato del lavoro italiano. Sono definite non regolari le posizioni lavorative svolte senza il rispetto della normativa vigente in materia fiscale-contributiva, quindi non osservabili direttamente presso le imprese, le istituzioni e le fonti amministrative.
Il tasso di irregolarità, calcolato come incidenza percentuale delle ULA (Unità di Lavoro dipendente) non regolari sul totale, risulta stabile nell’ultimo biennio (15,5% nel 2016 e nel 2017) per effetto di una dinamica del lavoro non regolare in linea con quella del totale dell’input di lavoro. Il tasso di irregolarità è più elevato tra i dipendenti rispetto agli indipendenti (rispettivamente il 16,0% e il 14,2%).
Nell’insieme del periodo 2014-2017 il lavoro non regolare presenta una dinamica differenziata e opposta a quella che caratterizza il lavoro regolare: gli irregolari aumentano di circa 59 mila unità (+1,6%) mentre i regolari crescono di 603 mila unità (+3,1%), determinando un leggero calo del tasso di irregolarità (dal 15,6% osservato del 2014 al 15,5% del 2017).