Roma, 17 ott – La necessità di abbattere le emissioni nocive fino ad azzerarle in un futuro non troppo lontano è un obiettivo ambizioso ma non impossibile. E siccome le fonti fossili (carbone, metano e petrolio) che ad oggi forniscono l’85% dell’energia mondiale, rappresentano la principale causa di emissioni di CO2, è da lì che bisogna partire per ridurre l’impatto sul nostro pianeta. Bisogna “decarbonizzare”, cioè portare avanti un percorso sistematico di sostituzione/dismissione delle fonti fossili. E in questa importante partita, tra le fonti convenzionali, il nucleare può avere un ruolo importante, come dimostrano i casi di alcuni Paesi, europei e non, che puntando sul nucleare hanno raggiunto importanti traguardi.
Questa, in estrema sintesi, l’idea di fondo del libro “A bright future: how some countries have solved climate change and the rest can follow”, scritto da Joshua s. Goldstein e Staffan A. Qvist, scelto dall’Associazione Italiana Nucleare (AIN) per caratterizzare la Giornata Nazionale di Studi organizzata a Roma dal titolo “Decarbonizzazione: il nucleare è un’opzione in Europa?”. La giornata, che si è aperta con la presentazione del libro da parte di uno degli autori, lo svedese Qvist, ha visto la partecipazione tra gli altri dell’europarlamentare Carlo Calenda, del presidente di Assoambiente Chicco Testa, di Carlo Stagnaro (direttore dell’Osservatorio economia digitale dell’Istituto Bruno Leoni), di Luisa Ferroni (dovente di Impianti nucleari alla sapienza di Roma), di Roberto Adinolfi (AD di Ansaldo Energia).
Il libro – non ancora tradotto in italiano – porta alcuni esempi concreti degli effetti delle scelte compiute in alcuni Paesi in materia di fonti energetiche. La Svezia, che utilizza sia il nucleare che le rinnovabili, tra il 1970 e il 1990 ha dimezzato le sue emissioni totali di carbonio e ha ridotto di oltre il 60% le emissioni ad abitante. La Germania, dove comunque dominano ancora le fonti fossili, ha scelto invece di raddoppiare la sua produzione di energia da rinnovabili, ma ha tagliato il contribuito da nucleare per un quantitativo equivalente; quindi ha solo sostituito una fonte carbon-free con un’altra senza ottenere una diminuzione delle emissioni di CO2. Questa scelta – si sostiene nel libro – non è una formula vincente per una rapida de carbonizzazione; mentre lo è l’approccio della Svezia (e di altri Paesi come Francia, Belgio, Stati Uniti) che riconosce la necessità di tutte le fonti low carbon per contrastare i cambiamenti climatici.
Una tesi condivisa dall’AIN. “L’Italia – ha ricordato il presidente dell’Associazione Italiana Nucleare Umberto Minopoli – anni fa ha fatto la sua scelta sul nucleare decidendo di chiudere gli impianti e questo ci pone in una situazione più critica rispetto ad altri Paesi che invece hanno mantenuto l’apporto del nucleare alla produzione di energia”. “Puntare tutto sulle rinnovabili non è possibile e non lo sarà ancora per molto tempo perché mancano ancora le tecnologie di accumulo necessarie. Serve quindi il contribuito di fonti come il nucleare, fonti che possano offrire stabilità dell’approvvigionamento. Senza l’apporto del nucleare al portafoglio energetico europeo – ha sottolineato Minopoli – non è possibile raggiungere gli stringenti obiettivi di decarbonizzazione. E noi italiani dobbiamo interessarcene, perché siamo parte dell’Europa e abbiamo capacità industriali e di ricerca che ci permettono di avere un ruolo importante. Oltre al fatto che abbiamo un lascito nucleare (il decommissioning delle centrali, il deposito dei rifiuti radioattivi) di cui occuparci”. Deposito che resta ancora solo sulla carta, visto che non si riesce neanche a pubblicare la CNAPI, il documento nel quale vanno indicati i siti potenzialmente idonei a ospitarlo. Pubblicazione che darebbe il via a un percorso di confronto necessario per arrivare alla realizzazione del sito.
Secondo Carlo Stagnaro dell’Istituto Bruno Leoni, la battaglia per il nucleare in Europa “vuol dire difendere la quota esistente di nucleare, che vuol dire non parlare più di nucleare francese ma di nucleare europeo in un contesto di reti integrate”. Il presidente di Assoambiente Chicco Testa, si è soffermato sulla difficoltà ancora presente in Italia a parlare di nucleare, per una diffusa cultura della diffidenza alimentata nell’opinione pubblica anche dalle posizioni di alcuni soggetti istituzionali “che dicono cose fasulle” e alimentano paure immotivate. Sulla necessità di dare informazioni corrette sul nucleare hanno insistito altri relatori, tra cui la docente di Impianti Nucleari della Sapienza Luisa Ferroni: “Viviamo in un mondo di radiazioni, ma anche studenti universitari al terzo anno del corso di Ingegneria energetica non lo sanno. Bisogna fare in modo che argomenti come la radioprotezione siano affrontati fin dalle scuole elementari. La paura si supera con la conoscenza”.
A concludere i lavori l’intervento dell’AD di Ansaldo Energia Roberto Adinolfi che, partendo dal libro presentato, ha ricordato come il problema delle emissioni non si possa affrontare pensando di produrre meno energia, di cui anzi nel tempo ci sarà una maggiore richiesta, ma puntando su energie diverse e il nucleare può essere utilizzato in Europa e nel mondo per produrre più energia pulita. Quanto all’Italia secondo Adinolfi “è arrivato il momento di fare un bilancio di 30 anni di uscita dal nucleare”, dei costi che questo ha comportato. “Di nucleare bisogna continuare a parlare, perché si tratta di un tema attualissimo”, ha aggiunto, “creare una cultura nucleare è ‘conditio sine qua non’ per aprire un dibattito fondato non su preconcetti ma su basi razionali”. Dibattito ” che deve inserirsi in un dibattito europeo. L’Italia dal resto del continente prende buona parte della sua energia e continuerà a farlo. Siamo europei, giochiamo anche in ambito europeo”.