Roma, 12 nov – Accordo lampo tra socialisti e Podemos per la formazione del nuovo governo in Spagna . Appena quarantott’ore dopo la problematica vittoria elettorale il leader socialista spagnolo Pedro Sanchez ha ottenuto un’intesa di massima con la sinistra radicale per in “governo progressista che duri quattro anni”.
Un’iniziativa che se fosse avvenuta sei mesi fa avrebbe probabilmente risolto i problemi di investitura di Sanchez, che ora si trova tuttavia a dover cercare almeno altri diciotto voti (fra preferenze e astensioni) per poter raggiungere la maggioranza necessaria di 176 e ottenere la fiducia.
Un traguardo tutt’altro che facile: se Sanchez intende escludere i partiti nazionalisti e indipendentisti catalani e baschi ne può ottenere al massimo 5; anche arruolando il moderato e non indipendentista Pnv si arriva a 12 e dunque è necessaria almeno l’astensione dei 10 deputati della destra di Ciudadanos, uscita a pezzi dalle elezioni ma non per questo incline a rendere la vita facile al premier socialista uscente. Sta di fatto che il voto ha costretto Sanchez a scendere a più miti consigli e ad accettare in brevissimo tempo ciò che aveva respinto in mesi di negoziati con Up tanto da preferire il ritorno alle urne: un esecutivo di coalizione e Pablo Iglesias come vicepresidente. Per quanto riguarda il programma, il testo dell’accordo elenca dieci priorità fra cui l’occupazione, la lotta alla corruzione, la giustizia fiscale e l’equilibrio dei bilanci e la lotta contro i cambiamenti climatici.
Un capitolo a parte merita la Catalogna, su cui i due partiti hanno posizioni diverse: Up infatti, pur non essendo favorevole all’indipendenza catalana, difende il diritto al referendum di autodeterminazione. Il programma definisce come priorità “garantire la convivenza e la normalizzazione della vita politica, favorendo il dialogo e l’incontro sempre nei limiti della Costituzione. Difficile dire se dietro questa vaga formula di principio si nasconda un’effettiva volontà di dialogo con i partiti indipendentisti, almeno se e dopo che Sanchez sarà riuscito a farsi confermare alla Moncloa: qualsiasi iniziativa in questo senso rischia di essere sfruttata elettoralmente dalla destra che non aspetta altro che di accusare Sanchez di essere “complice dei terroristi e dei separatisti” (due concetti che la campagna elettorale della destra e soprattutto di quella più estrema di Vox hanno fatto di tutto per associare indissolubilmente).
Il problema maggiore per il leader del Psoe tuttavia è che per quanto riguarda l’intangibilità dell’unione nazionale una buona parte del suo elettorato è schierato sulle stesse posizioni della destra – specie in quelle regioni a governo socialista che più avrebbero da perdere economicamente da un’eventuale secessione catalana) e ogni concessione rischia dunque di esser pagata a caro prezzo sia all’interno del partito che alle prossime elezioni.