Roma, 11 dic – Più qualità uguale maggiore ottimismo anche in caso di Brexit. Una tesi che l’Istituto Grandi Marchi ha illustrato a Roma con il supporto dei risultati dello studio commissionato all’osservatorio Wine Monitor di Nomisma, dal titolo “I vini italiani di alta qualità nel mercato Uk. Tra Brexit e concorrenza francese”. La ricerca ha messo sotto osservazione la percezione, il posizionamento e le abitudini di consumo relativi ai fine wines italiani, anche alla luce di una possibile uscita definitiva della Gran Bretagna dall’Ue.
Secondo i dati, malgrado il generale clima di incertezza legata agli effetti post voto, tra gli attuali consumatori inglesi di vini top italiani prevale comunque un sentiment positivo: il 59% del campione intervistato (in tutto mille wine users di età compresa tra i 18 e i 65 anni) dichiara che continuerà a consumare le stesse quantità di oggi anche in caso di innalzamento dei prezzi.
Diversa è invece la situazione nei confronti del vino made in Italy in generale, verso cui le prospettive sono meno rosee per il 53% dei rispondenti: a fronte di eventuali rincari, l’11% smetterebbe di acquistarli e un ulteriore 42% continuerebbe a consumarli ma in quantità ridotte. Tra i più giovani cresce la quota di chi pensa di diminuire i consumi in favore della birra.
Il tutto in uno scenario che nei primi otto mesi del 2019 vede l’Italia enoica inseguire la Francia, perdendo quote sugli sparkling (-9% in valore), ma recuperando sui fermi, a partire dai rossi piemontesi e veneti. Malgrado le prospettive incerte, la Gran Bretagna rappresenta ancora il terzo mercato di sbocco in assoluto per il nostro made in Italy, dopo Stati Uniti e Germania, con un fatturato che nel 2018 ha sfiorato gli 811 milioni di euro, per il 40% dovuti al Prosecco. Ma la consapevolezza generale è che la leva del prezzo possa fare la differenza.
“Un aspetto determinante – ha detto Piero Mastroberardino, presidente dell’Istituto del vino italiano di qualità Grandi Marchi – sia se guardiamo alla corsa con i competitor francesi, che non a caso hanno recuperato quote di mercato con azioni aggressive sullo Champagne, sia se consideriamo gli eventuali rincari legati alla Brexit. Questi influenzerebbero inevitabilmente gli acquisti, lasciando ampi margini al low cost, indicato dal 44% del campione intervistato come principale fattore di acquisto in questo momento storico”.
“Guardando invece il bicchiere mezzo pieno – ha aggiunto Mastroberardino – lo studio conferma che per il 38% dei pareri l’origine del vino e il brand sono ancora criteri di scelta prioritari, ponendo il nostro paese in cima alla lista insieme a Francia e Australia. Ciò su cui intendiamo puntare dal canto nostro è quindi la crescita ulteriore del valore dei fine wines, lavorando in modo mirato e più strutturato su canali strategici che vadano oltre la Gdo, come l’Horeca e il commercio online, dove il pregio e il fascino dei nostri vini possono garantire ampi margini di sviluppo”.