Lo chiamano il “fagiolo della regina”, perché leggenda vuole che la regina di Napoli, Maria Carolina d’Asburgo, ne andasse letteralmente pazza. E nel solco della tradizione a Gorga, frazione del Comune di Stio, nel salernitano, Slow Food ha appena lanciato un nuovo presidio: il fagiolo della regina di Gorga, appunto. La leggenda che ci fa viaggiare indietro nel tempo fino all’epoca borbonica è affascinante, ma ciò che conta è il presente: la voglia di un gruppo di produttori, di tre ragazzi e un insegnante in pensione, di non far scomparire una coltura che non è un vezzo, ma una vera risorsa. Il senso di far nascere un presidio Slow Food sta proprio in questo: da un lato salvaguardare i frutti della terra, dall’altro riconoscere l’impegno della popolazione locale e sostenerlo per favorire un cambiamento ambientale, sociale ed economico.
Quando tutto è cominciato
A Gorga, oggi, abitano meno di cento persone. È in questa piccola frazione, e nel vicino territorio dei Comuni di Stio, Magliano Vetere, Campora, Orria e Gioi, che è rinato questo particolare ecotipo: “Quando abbiamo cominciato, sette anni fa, il fagiolo veniva coltivato soltanto da qualche anziana signora di Stio, ma a livello commerciale era morto”, racconta Andrea De Leo, referente dei produttori del Presidio. “Abbiamo cominciato a produrne un po’ di più e a partecipare ad alcuni mercati, come Leguminosa, l’evento organizzato da Slow Food Campania a Napoli, riuscendo a creare una microeconomia che vede coinvolte le poche aziende agricole del territorio e anche le signore e i giovani che lo coltivano nei loro orti”. “In ogni paesino di questa zona tutti gli abitanti avevano un pezzetto di terra da coltivare per il proprio sostentamento”, aggiunge Nerio Baratta, fiduciario della Condotta Slow Food Gelbison di Vallo della Lucania, in quest’area del Cilento. Tra le coltivazioni più diffuse, insieme alle castagne, c’era proprio quella dei fagioli: la scarsa deperibilità e la possibilità di seccarli, infatti, li rendevano un vero e proprio bene rifugio, ideali sia da scambiare sia da immagazzinare per sopravvivere ai lunghi inverni montani. Riprendere la produzione di fagioli regina, prosegue De Leo, ha avuto due risvolti. Il primo riguarda naturalmente il prodotto: “Vogliamo scongiurare la scomparsa di una particolarità locale. Da noi, negli ultimi anni, si è coltivato quasi esclusivamente solo il fagiolo borlotto, perciò abbiamo impiegato sette anni per ripulire il seme. Sul lato umano, invece, la ripartenza ha dato orgoglio al paese e rinnovato il desiderio di continuare a coltivare la terra”. In altre parole: creare indotto produttivo, costruire piccole aziende.