Sandro Veronesi, vincitore del Premio Strega 2020 con il romanzo "Il colibrì"

La casa di Sandro Veronesi si trova a un tiro di schioppo da Città del Vaticano, per raggiungerla, si percorre una via lunga, molto trafficata, vedo la cupola di San Pietro che svetta in lontananza, toccata dal sole brillante di una giornata tersa. E quando varco il cancello del civico, lo scrittore mi attende fuori dallo studio: riccioluto, indossa una giacca scura, sul viso gli occhiali dalla montatura nera. L’autore di “Caos calmo”, tradotto in tutto il mondo, e diventato un film interpretato da Nanni Moretti, de “La forza del passato” e di formidabili reportage narrativi, ha da poco pubblicato “Il colibrì” (La nave di Teseo), già vincitore delle prestigiose classifiche di qualità de “La lettura” del Corriere della Sera, e soprattutto vincitore del “Premio Strega” di quest’anno. Proprio nel libro, una narrazione giocata su più registri e spazi temporali, Veronesi recupera anche la scrittura epistolare, lo scambio di missive tra il protagonista, Marco Carrera, e Luisa Lattes, il grande amore della sua vita. Straordinario affabulatore, comincia a dirmi che “il romanzo copre il tempo in cui le lettere si scrivevano, ma soprattutto il protagonista che tende a mantenersi fermo nelle cose, non cambiare, conserva questa abitudine anche nel tempo della comunicazione elettronica, quella istantanea, che comporta tutta un’altra serie di ansie, di aspettative”. Secondo lui la comunicazione personale, nella vita come nella letteratura, sta dentro i tempi dell’ansia, quella che chiama “dell’aspettativa amorosa”, dettati dai mezzi con cui si comunica, riferisce seduto dietro la scrivania, alle spalle una libreria molto ordinata. “In un passaggio di “Fuoco fatuo” di Drieu La Rochelle in cui il protagonista comincia a disperare che la sua amata non gli risponda, avendole scritto una lettera in America, è uno che cerca una ragione per uccidersi. Gli spiegano che la lettera viaggia in nave, ci vogliono molti giorni, ma lui non è disposto ad aspettare quel tempo, perché sa che comunque non riceverà risposta. Immaginiamoci questa cosa con la posta elettronica” continua a dire divertito: “Veramente dopo sei ore hai il diritto di spararti!”.

L’ispirazione dagli epistolari degli scrittori
Veronesi parla di relazioni amorose che hanno bisogno del tempo della corrispondenza. Gli sms, i messaggini, stanno invece dentro la nevrosi contemporanea, ma secondo lui non hanno cancellato quella precedente. “Nel mio romanzo, i protagonisti fin da giovanissimi stanno lontani, quindi comunicano con le lettere, vivono nel tempo delle Poste, non della posta elettronica”. Invece mi confessa che due stalker lo tarmano da trent’anni, “mi seguono nei miei cambiamenti di indirizzo, sono persone che ho conosciuto, scrivono lettere molto prolisse legate al nostro rapporto che non c’è ma che ci potrebbe essere stato: potevamo…”. È sempre stato ispirato dagli epistolari degli scrittori, “c’è la loro vita quotidiana, nelle lettere si racconta quello che si fa, le cose fatte, quelle di Hemingway sono bellissime, molto narrative, mi interessano le beghe editoriali, quelle di Beckett, Chandler, casini che arrivavano per posta, tanto che le lettere e le Poste sono state da molti scrittori considerate nella prima parte del ’900 una fonte di seccatura”. Confessa di averne scritte tante, ma imitando il protagonista de “La città e i cani” di Vargas Llosa, quando faceva il militare nella caserma dei Vigili del fuoco di Ciampino, come furiere si è offerto di scrivere lettere d’amore per i suoi commilitoni, incapaci di esprimere i propri sentimenti, in cambio di guardie, corvè cucina, “che poi erano come lettere che scrivevo davvero io alla mia fidanzata”, perché da soldati la paura di tutti era quella che il tempo, la lontananza, potessero far sì che l’amore finisse. “Una bella lettera tosta d’amore allora poteva aiutare”.

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