Quello di Donata Cobianchi, direttore dell’Ufficio Postale di Casalpusterlengo, è ormai un nome noto a tutti i colleghi d’Italia. Il 2 marzo, nel pieno della pandemia, Donata si è offerta volontaria per aprire l’Ufficio Postale di Codogno, il paese del Lodigiano che ha fatto da porta d’ingresso del virus in Italia. Eravamo solo all’inizio. Lei, come ha raccontato in altre occasioni, ha fatto “solo” il suo dovere senza atti eroici né eccessi di protagonismo. A distanza di sei mesi, la abbiamo ritrovata per chiederle cosa è successo “dopo” e che cosa si aspetta dalla nuova fase che sta per aprirsi per Poste e per l’Italia.

Dopo aver riaperto da volontaria l’Ufficio Postale di Codogno, l’hanno cercata tutti, compresi giornali e televisioni. Che effetto le ha fatto questa improvvisa popolarità?
“Ero imbarazzata perché, dopo tutto, non mi sembrava di aver fatto nulla di eccezionale. Mi faceva piacere se i clienti mi riconoscevano dopo avermi vista in televisione, ma io ho fatto semplicemente il mio lavoro. Non mi sono mai sentita un’eroina”.

Qual è stata la cosa che le ha fatto più piacere?
“Per garantire che fossero pagate le pensioni a Codogno avevo “abbandonato” i miei colleghi di Casalpusterlengo per una settimana. Ritrovarli, in quella situazione così difficile, è stato molto bello”.

 Quale immagine le resterà di Codogno?
“L’arrivo a Codogno quel lunedì mattina, con la serrata totale, non si può cancellare. Era tutto chiuso: bar, negozi, scuole, uffici. Non c’era nessuno per strada. Noi siamo stati gli unici a riaprire. Poi ho il ricordo della fila di pensionati fuori, silenziosa e ordinatissima”.

Che cosa è successo nel periodo successivo?
“Al mio ritorno a Casalpusterlengo mi sono trovata subito a confronto con persone che avevano perso i genitori e che venivano per avviare le successioni. Ricordo tantissime situazioni, in particolare tre fratelli che hanno perso la mamma la sera e il papà la mattina dopo. Non sapevano come pagare l’agenzia funebre. Di fronte alle persone in difficoltà ho cercato di badare all’aspetto psicologico, offrendo una carezza prima ancora di parlare degli aspetti tecnici, di moduli e certificati. Bisogna ringraziare anche i colleghi di Trieste che gestiscono le pratiche di successione del Nord Italia e che sono stati tempestivi nelle lavorazioni, nonostante l’alto numero di richieste. Ci hanno permesso di liquidare le pratiche in tempi brevi”.

 Ha mai pensato di non riuscire a garantire il servizio?
“I primi giorni ero un po’ in apprensione, ma mentre si lavora la mente non si sofferma nel pensare al peggio. Ho lavorato serena, proteggendomi con la mascherina e i guanti e dietro ai plexiglass forniti dall’Azienda. No, non ho mai pensato di non farcela”.

 Che giudizio dà della reazione di Poste all’emergenza?
“La nostra Azienda ha fatto un ottimo lavoro sul fronte della sicurezza e della gestione dei servizi. Abbiamo anticipato il pagamento delle pensioni per andare incontro alle esigenze delle persone senza creare assembramenti. Abbiamo potuto garantire tutte le operazioni allo sportello senza mai fermarci”.

C’è stato lavoro di squadra?
“Sì, moltissimo. Noi siamo stati anche aiutati dall’Associazione Paracadutisti di Monza e Brianza, che collaborava con la Protezione Civile. Regolamentavano le code facendo in modo che ci fosse ordine negli ingressi. Ci hanno dato una grossa mano nell’affluenza e noi abbiamo lavorato sereni. Con i militari non si scherza…”.

Come è cambiato il suo lavoro e quello dei suoi colleghi dopo questa esperienza?
“Già prima di questa esperienza il nostro ufficio era come una famiglia. Per molti mesi siamo rimasti lontani, chi in altre sedi, chi in isolamento, chi ad assistere familiari. Ricordo che il giorno di Pasqua ci siamo scambiati messaggi di auguri molto calorosi, proprio come una famiglia che in quel momento si sentiva disgregata nell’attesa di tempi migliori”.