Andrea Perroni

Radio, tv. O meglio, la radio in tv. E poi la musica, il palco e – non ultime – le lettere e l’attenta osservazione delle persone che popolano gli Uffici Postali. Andrea Perroni è ripartito per la nuova avventura di Radio 2 Social Club, colonna portante del palinsesto di Radio 2, che da 12 anni conduce insieme a Luca Barbarossa. Stavolta, in più, c’è lo spazio quotidiano su Rai Due, che dopo pochi giorni testimonia già il successo dell’operazione. “Abbiamo ricominciato da due settimane – racconta Perroni a Postenews – Di novità ce ne sono molte, innanzitutto la location, la storica Sala B di Radio Due, uno studio più grande come prevedono le normative di sicurezza, molto bello scenograficamente e ben attrezzato. E soprattutto abbiamo di nuovo i musicisti in studio: durante il lockdown abbiamo sofferto la loro assenza sia umanamente sia dal punto di vista produttivo. Il nostro è un programma di musica, dove gli artisti vengono a suonare e dove può succedere di tutto”.

Un esperimento riuscito

Con Barbarossa, come detto, il feeling è pressoché totale: “Ormai siamo collaudati da anni: io e Luca Barbarossa siamo ‘coppia fissa’ da 12. E ho potuto lavorare con grandi artisti e con show-woman come Virginia Raffaele, Lucia Ocone o Paola Minaccioni”. L’esperimento ha già dato esiti molto positivi: “È molto difficile che la radio funzioni alla tv. La visual radio si è molto diffusa in questi anni, la Rai si è preparata con più tempo ed è valsa la pena perché Radio 2 Social Club sta avendo un ottimo riscontro nella sua missione di portare la radio nella tv generalista. È evidente che siamo a tutti gli effetti un programma televisivo, perché rispettiamo i tempi e i canoni della tv. Ma per fortuna affrontiamo la giornata di lavoro in radio lavorando con leggerezza. E in un momento brutto come quello che vive il mondo dello spettacolo la radio rappresenta una voce sempre accesa. Non si ferma nelle guerre come non si ferma nelle pandemie: è un’ancora di salvezza”. Il momento del settore, in effetti, è drammatico e i segnali tendenziali non lasciano presagire nulla di buono: “Quest’estate – continua Perroni – ho voluto fortemente essere sul palco di Ostia Antica perché volevo dare un segnale. Seicento persone sugli spalti sono state un’emozione, forse anche di più delle duemila dell’anno precedente”.

Le storie degli Uffici Postali

Il rapporto con chi lo segue, Perroni, non lo ha perso nemmeno nel modo più classico: la cara vecchia lettera, che lui riceve da fan molto speciali: “Ricevo ancora delle lettere dei fan. Sono quasi sempre di bambini, che mi mandano dei disegni, e ogni volta vengo raffigurato in un modo diverso. Sono disegni bellissimi, di una autenticità e un’ingenuità che negli anni noi adulti abbiamo perso, non usando più carta e penna. Abbiamo perso la nostra estemporaneità: i pensieri oggi si sono trasformati in messaggini e spesso al pensiero non segue l’azione. La pratica si è persa, vale più la suggestione scritta. Invece io mi emoziono ancora quando trovo cose scritte da me con carta e penna o un appunto sull’agendina”. “Di lettere – prosegue – ne scrivo, ma quasi sempre non le invio, le tengo nel cassetto. Quella che ricordo bene in ordine di tempo l’ho scritta a mia nipote Alma, due anni fa. Ma gliela darò quando cresce, perché avrà ancor più valore”. E infine Perroni confida un segreto: per lui l’Ufficio Postale è un luogo speciale, dove riscoprire la vita e ascoltare le storie delle persone: “Mi affascina molto. È un crocevia di persone differenti, mi ricorda ciò che Monicelli fece nei ‘Soliti Ignoti’: un insieme di dialetti per avvicinarsi alle persone, per farsi capire da tutti, per essere umani. Le Poste sono lo stesso: osservo quasi rapito le persone che entrano nell’Ufficio a ritirare le lettere, cerco di riconoscerne la provenienza, il lavoro. Sorrido quando entra il professionista costretto a ritirare una lettera cartacea così come quando vedo i tanti nostalgici ai quali non interessa la tecnologia e vogliono uscire di casa per andare in posta. È un luogo che insieme ai veri bar, quelli a gestione famigliare, permette ancora di sedersi e sentire delle storie autentiche. E spesso ci vado e mi trattengo per ascoltare la gente, per capire meglio le persone”.

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