Lettera al padre di Franz Kafka potrebbe essere una risorsa educativa per ogni genitore che avesse la pazienza e il coraggio di leggerla. Si tratta, infatti, di un testo dove l’autore de La metamorfosi, Il processo, Il castello, narra il fallimento educativo completo del padre nei suoi confronti. È un testo spinoso, velato di amaro rimpianto per ciò che poteva essere e non è mai stato il rapporto tra padre e figlio. Pagine recriminatorie quasi a vincere, finalmente, paura e vergogna dell’autore avvilito e deluso per un rapporto educativo fallimentare. Argomento di tutta la Lettera è il rapporto del padre Hermann con i figli, Franz in particolare annichilito dalla boria paterna. Racconto di una esperienza educativa sull’agire da padre nella più assoluta mancanza di sintonia e sul rendere infelici i figli. Per Franz, un’esperienza deludente tanto da ritenere se stesso il primo non “kafkiano”, aggettivo da lui coniato per definire uno stile esuberante e canzonatorio della famiglia dei Kafka, al quale egli si sentiva del tutto estraneo. Anziché aiuto alla crescita serena, l’autore vive la presenza paterna come un ostacolo al libero dispiegarsi della sua autostima e della voglia di vivere. Retrospettiva dei dissapori inespressi ma costanti tra padre e figlio fino all’incomunicabilità.
Sentimento di nullità
Odio e amore, attrazione e ripulsa, paura e vergogna compagni di strada di Franz incapace di autodeterminazione. Attivo e intraprendente, con la boria e il senso di sicurezza suo padre Hermann che, al di là delle formalità quotidiane, è rimasto un estraneo per il figlio introverso e poco incline agli affari. Di salute cagionevole da morire di tubercolosi a 41 anni, portandosi nella tomba la convinzione di essere stato un figlio incompreso, insicuro e inadeguato. Schiacciato dalla figura dominante del padre. Questa infelice condizione il celebre scrittore la confida in una Lettera del 1919, soltanto cinque anni prima della morte. Mai spedita e mai pervenuta al destinatario che gli è sopravvissuto. Rimasta inedita fino al 1986, permette di guardare dietro le quinte dei grandi romanzi di Kafka, dove in controluce originano e si intrecciano fantasmi e sentimenti sulla vita che furono esperienza segreta della sua infanzia e giovinezza. “Il sentimento di nullità che spesso mi sovrasta –si legge in un passo della Lettera al padre – è per molti versi generato dalla tua influenza”. Un’influenza negativa e paralizzante di un padre estroverso e vitale. Lo stile della Lettera è minuzioso, condizionato da un pensiero ossessivo che ritorna: senza quel padre ingombrante, non odiato mai davvero, la vita dell’autore sempre teso senza riuscirvi, a liberarsi da quel “particolare rapporto di infelicità che ci lega”, sarebbe forse stata una vita più solare dei suoi romanzi.
Il bisogno di riconciliazione
Per Franz anche le cose più importanti, come la scelta di sposarsi e liberarsi così della tutela genitoriale, sono fallite per i giudizi e pregiudizi del padre. “Immagino la parità che allora si stabilirebbe fra noi e che tu capiresti più di ogni altra, così bella appunto perché potrei essere io un figlio libero, riconoscente, incolpevole, retto, tu un padre non afflitto, non tirannico, comprensivo, soddisfatto”. Ma perché ciò potesse avverarsi, Franz scrive una cosa tremenda: “Dovrebbe essere cancellato tutto ciò che è stato, ossia dovremmo essere cancellati noi stessi”. Atto di accusa misto, nel finale, a un disperato bisogno di riconciliazione. Equilibrando torti e ragioni per facilitarsi il vivere e il morire.