Simone Weil, acuta filosofa del Novecento morta a soli 34 anni, una volta conosciuta non si scorda mai. Capace di suscitare in chi la legge reazioni contraddittorie e spesso violente: “sia un’ammirazione che sfocia nell’idolatria, sia all’opposto un odio portato all’estremo”. Diventa una compagnia dell’anima perché le sue domande sul senso di vivere liberi e responsabili sono le domande che, nel segreto del cuore, tutti si pongono. Lei ha gettato una luce stupenda e irrequieta su ogni grande mistero dell’esistenza e ha rivolto domande a Dio e alla Chiesa cattolica che nel suo tempo respirava una marcata intransigenza e austerità.
Sei missive per capire
I grandi temi della fede e dell’appartenenza alla Chiesa sono argomento speciale delle sue Lettere. Sei missive in particolare, indirizzate al gesuita Joseph Marie-Perrin e pubblicate postume in una raccolta dal titolo “Attesa di Dio”. Ma c’è un’altra Lettera, non meno importante, indirizzata pochi mesi prima della morte al domenicano francese Marie Alain Couturier, pubblicata da Adelphi con il titolo “Lettera a un religioso”. Lettere di grande spessore, perfino avvincenti, che suggeriscono un unico titolo evocativo: “Alle prese con Dio e con la Chiesa cattolica”. Un contenzioso d’amore, un’attrazione travolgente e razionale cui Simone Weil vuole cedere senza, però, rinunciare alla propria intelligenza e al proprio cuore. A suo parere il Dio di Gesù Cristo, non può volere le persone mutilate del cuore e della ragione. Nel carteggio con i religiosi destinatari il tema di fondo è proprio questo: verificare la “compatibilità o l’incompatibilità di ciascuna delle mie opinioni con l’appartenenza alla Chiesa”. Ma l’interesse dei padri religiosi puntava a stabilire i confini per battezzare Simone. Di genitori ebrei, la giovane studiosa aveva percorso un lungo tratto di strada avvicinandosi alla fede cristiana. E, da intelligente qual era, in nome dell’amore, aveva intrapreso “investigazioni spirituali su Gesù di Nazaret” considerato chiave di ogni conoscenza trasformativa della vita. A lei non interessava il rito esteriore del battesimo senza la certezza interiore di essere in sintonia piena con la Chiesa. Si tratta in altre parole di una risposta alta al dramma di tanta gente riassunto nella frase: Cristo sì, la Chiesa no. Fortunatamente si deve riconoscere che venti anni dopo la morte della Weil il concilio Vaticano II dava risposte all’essere Chiesa non più confusa con l’istituzione, che in vita non aveva ricevuto da alcuno. Oggi Simone, con la conoscenza minuziosa e personale dei testi del concilio, non avrebbe esitato a ricevere il battesimo che stabilisce un passaggio esistenziale, inaugurando un cambio di vita vissuta alla sequela di Gesù.
Lettera a un religioso
“Quelli che posseggono allo stato puro l’amore per il prossimo e l’accettazione dell’ordine del mondo, compresa la sventura, – si legge nella Lettera a un religioso – costoro sono tutti sicuramente salvati, anche se vivono e muoiono in apparenza atei. Coloro che posseggono perfettamente queste due virtù, anche se vivono e muoiono atei, sono santi. Quando si incontrano uomini siffatti, è inutile volerli convertire. Essi sono pienamente convertiti, sebbene non in modo visibile; sono stati generati di nuovo a partire dall’acqua e dallo spirito, anche se non sono mai stati battezzati; hanno mangiato il pane della vita anche se non si sono mai comunicati”. “La carità e la fede, sebbene distinte, sono inseparabili”. Questi pensieri di Simone, si ritrovano nel Vangelo detti in altre parole da Gesù. E sono materia comune nel dialogo fraterno attuale tra le religioni e con l’ateismo che al tempo di Simone balbettava appena.