Un genio infelice in cerca di felicità e la sua determinazione per incontrarla è stata pari al suo nichilismo filosofico. Qui sta, in parte, la comprensione di Giacomo Leopardi, il giovane favoloso, morto a 39 anni senza riuscire ad esercitare il diritto alla felicità. Pensarlo infelice credendo di saperne molto di lui e di scansarlo dalla vita, è tuttavia una presunzione. Leopardi ha bisogno di una definizione più profonda e di una comprensione più ponderata.
La ricerca personale del poeta
Sono le lettere che ci rivelano il suo abitare interiore nella speranza di raggiungere quella serenità che la salute malferma e un’infanzia, portentosa ma scarsa di affetti, gli negarono per sempre. Felice, Leopardi non è stato ma la felicità è al cuore della sua ricerca personale di pensatore e poeta. Lui è il genio bambino che, poco più che adolescente tentò la fuga da Recanati in cerca della felicità. Purtroppo, la trama reale della sua esistenza mostra la distanza tra il volare alto del suo spirito e la fragilità del suo corpo. Felicità e infelicità si scontrano e tra le due sembra vincere di gran lunga l’infelicità. Tra le migliaia di pagine scritte in prosa o in poesia questo duello è palpabile e grandioso e, a una lettura superficiale, Leopardi assurge quasi a emblema poetico del pessimismo. “Tutto è nulla al mondo, anche la mia disperazione” annota nello Zibaldone. Solido nulla. Questo sterminato autore della letteratura italiana e della filosofia, tra i poeti sommi è uno scultore del complesso animo umano in lotta perenne per approdare alla quiete. L’Epistolario di poco meno mille lettere ci squaderna una persona che fa sorgere un dubbio: è poi davvero così infelice il poeta? Perché dunque leggerlo il Leopardi se non è di pacificazione alla nostra esistenza già di per sé complicata?
Lettere sulla Felicità
Un libro minuto, di pagine (61) e di forma (L’Orma editore, 2012), che il curatore, Marco Federici Solari ha pubblicato con il titolo Con pieno spargimento di cuore – Lettere sulla Felicità aiuta a temperare lo stereotipo scolastico di un Leopardi infelice tout court. Sono 22 stralci di altrettante Lettere a otto diversi destinatari. Vi si tratta direttamente della felicità assimilata a una splendida illusione per la quale vale contrastare malinconie e dolori. Gli stralci confermano che l’autore dell’Infinito è stato un cercatore inappagato di felicità. E questo non lo fa uno sconfitto; lo rende, invece, un combattente indomito per il diritto alla felicità, in contrasto all’infelicità considerata un insulto alla stessa dignità umana. Ha cercato non solo una felicità idealizzata, ma più ancora una felicità praticabile per sé e per gli altri. Una felicità che ha qualcosa da spartire con l’amicizia e l’amore. Perciò si adopera, benché talvolta disperato, a “rallegrare al meglio” amici e parenti in difficoltà. Se mi ami – scrive alla sorella Paolina– ti devi rallegrare. “Ho supplicato il cielo che mi facesse trovare un uomo di cuore e di ingegno e di dottrina straordinario, il quale trovato potessi pregare che si degnasse di concedermi l’amicizia sua… Oh sia benedetto Iddio (e con pieno spargimento di cuore lo dico) che mi ha conceduto quello che domandava”. “Io so che la felicità dell’uomo consiste nell’essere contento”. “Umilmente domando se la felicità dei popoli si può dare senza la felicità degli individui”. Spigolature di saggezza di un giovane Leopardi affidate alle sue Lettere. Carte di cuore e d’intelletto di una grande mente e di un animo generoso.