Nel 2021 Mario Castelnuovo taglierà un traguardo importante, i quaranta anni di carriera, che ha festeggiato con l’uscita del suo primo dvd-concerto (registrato poco prima del lockdown il 2 febbraio scorso alla Dogana Veneta di Lazise) accompagnato da un cd singolo con i brani “Guardalalunanina” e “Stanotte ho fatto un sogno”. In questi anni il cantautore romano ha attraversato generi e mode, alternando ricerca elettronica e riscoperta acustica, sempre con un preciso copione di fondo: le storie che popolano le sue canzoni, frammenti quotidiani che sono una sintesi perfetta tra musica e cinema. Un racconto che, spiega Castelnuovo stesso a Postenews, deriva dalla sua curiosità e dall’attenta osservazione delle persone, anche in un Ufficio Postale dove “chi fa il mio mestiere o il regista, dovrebbe andare almeno una volta a settimana” perché lì “c’è la vita vera”.

Mario, quaranta anni di carriera.
“Non me lo immaginavo, per tante ragioni. Caratterialmente sono un incostante, poi perché in questo ambiente è difficile rimanerci, sotto tanti aspetti: si abusa spesso della parola amico”.

Nelle tue canzoni si conserva una genuinità creativa, le storie che racconti sono quotidiane e fantastiche.
“Una certa lontananza dal mio ambiente mi ha fatto sviluppare le tematiche quotidiane, è vero. In certi ambienti bisogna sapersi porre in un certo modo. Ma spesso bisogna sapersi anche ‘riporre’ in un certo modo: separarsi dalla scena. Fare lo spettatore, l’ascoltatore. E sono i migliori ascolti per capire davvero quello che ti sta girando attorno. Perché la curiosità è il vero motore che mi porta a spasso da tanto tempo. Non sono mai stato un monomaniaco, non ci sono io al centro dell’universo”.

Le tue canzoni sono piccoli frammenti di vita. Di te è stato detto che la tua è una scrittura “cinematografica”.
“Prima di fare il cantautore facevo gli acquerelli e i ritratti a piazza Navona. Così ho imparato a inquadrare le persone e i fatti. Mi è rimasta dentro una curiosità estetica, per questo oggi mi manca così tanto vedere in faccia le persone. Lo definirei realismo, ma aggiungo una parola: realismo magico. Mi piacciono le storie reali dove c’è qualcosa che sa di fiaba. E desidero sempre che la vita sia così, anche perché la routine è di una noia mortale. Mi piace fotografare la realtà ma aggiungere un punto impazzito”.

La realtà è anche quella di un Ufficio Postale.
“Sono un abituale frequentatore dell’Ufficio Postale di viale Trastevere. Beh, chi fa il mio mestiere o il regista, dovrebbe andare almeno una volta a settimana in un Ufficio Postale per cogliere le storie di umanità quotidiana, il volto delle persone. Sono spunti di scrittura: lì dentro c’è la vita”.

Nella tua vita le lettere hanno avuto un peso?
“Dirò qualcosa che mi sono pentito di aver fatto. Agli inizi della mia carriera venne pubblicato l’indirizzo della mia casa discografica alla quale si potevano recapitare le lettere. Era la storica IT di Vincenzo Micocci, da lì cominciai io così come fecero De Gregori, Venditti, Rino Gaetano. Ogni volta che andavo alla IT tornavo a casa con una borsa piena di letterine, disegni, attestati di stima e tanto altro. Ciò di cui mi pento è che, a distanza di anni, mi sono trovato a doverle buttare perché erano troppe. Però ricordo bene quel periodo nel quale ogni lettera aveva il suo profumo. C’era quasi la possibilità di riconoscere chi scriveva al tatto o all’olfatto. Oggi fa sorridere, ma voglio ricordare quanto sia bello scrivere una lettera: perché lo fai di tuo pugno, e io riesco anche a capire un pochino chi sei dalla tua grafia”.

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