La penna ha sostituito per una volta il suo pennello magico. Ma a Raffaello, “divino maestro” rinascimentale di pittura, è bastata una Lettera soltanto tra le pochissime da lui scritte, per entrare anche nella storia dell’architettura. La Lettera a Leone X, scritta a quattro mani con l’amico Baldassar Castiglione, ha lasciato il segno nella storia della tutela e della cura delle opere d’arte. Raffaello espone al Papa un quadro dettagliato sul degrado dell’arte classica a Roma e lo incoraggia a uscire dall’incuria e dal degrado della città iniziato dalle invasioni dei barbari.
Il modello di bellezza
Vi traspare l’amore dell’artista per la classicità e il proposito di ripristinarne la bellezza deturpata. “Ma perché – si legge nella prima parte considerata la più celebre della Lettera – ci doleremo noi de’ Goti, Vandali e d’altri tali perfidi nemici, se quelli li quali come padri e tutori dovevano difender queste povere reliquie di Roma, essi medesimi hanno lungamente atteso a distruggerle? Quanti Pontefici, Padre Santissimo, li quali avevano il medesimo officio che ha Vostra Santità, ma non già il medesimo sapere, né il medesimo valore e grandezza d’animo, né quella clemenza che la fa simile a Dio: quanti, dico, Pontefici hanno atteso a ruinare templi antichi, statue, archi e altri edifici gloriosi! Quanti hanno comportato che solamente per pigliar terra pozzolana si sieno scavati dei fondamenti, onde in poco tempo poi gli edifici sono venuti a terra! Quanta calce si è fatta di statue e d’altri ornamenti antichi! che ardirei dire che tutta questa Roma nuova che ora si vede, quanto grande ch’ella si sia, quanto bella, quanto ornata di palagi, chiese e altri edifici che la scopriamo, tutta è fabricata di calce e marmi antichi”. Barbara Jatta, la prima donna Direttore dei Musei Vaticani che ai 500 anni dalla morte di Raffaello ha dedicato – fra tante iniziative – una mirabile esposizione di arazzi nella Cappella Sistina, ritiene la Lettera un “caposaldo di quella visione che vede negli antichi il modello supremo di bellezza da tutelare e difendere sia perché fonte di ispirazione imprescindibile per i contemporanei, ma anche in quanto veicolo di prosperità e di pace”.
Arte è libertà
“Rafael pintore in Roma” – tale si firma nelle sue poche lettere – con i suoi quadri, gli affreschi, gli arazzi lascia stupiti piccoli e grandi, ma è una Lettera tuttavia a rivelarne la solida visione urbanistica che ne fanno un grande umanista rinascimentale. Nel respiro della classicità considera la bellezza un patrimonio sociale da amministrare con lungimiranza. Si tratta del lampo tipico del genio: in una sola Lettera, un programma di governance illuminata dell’immenso patrimonio artistico della città di Roma. Storici e critici dell’arte concordano nell’attribuire alla Lettera una “profondità culturale e la visione dell’arte entro cui comprendere la vastità dell’opera pittorica di Raffaello Sanzio del quale si celebra quest’anno il quinto centenario della morte a soli 37 anni”. Osservano, inoltre, che lo spirito che informa la Lettera a Leone X si è trasfuso nell’Articolo 9 della Costituzione italiana, uno tra i 12 Articoli dei princìpi fondamentali della Repubblica. In esso viene sancita la tutela della cultura, della ricerca, dell’arte e dell’ambiente. L’arte racconta la bellezza inseparabile dalla libertà. La Repubblica italiana senza cultura o tiepida sul dovere di valorizzare la bellezza del suo patrimonio artistico sarebbe incompiuta. La storia conferma che in quella Lettera Raffaello è stato un precursore dei tempi moderni.