Un comico, imitatore e personaggio televisivo che ha la bravura di saper lavorare su tanti media: Edoardo Ferrario è uno dei personaggi più amati del momento, con la sua comicità unica, che riesce a declinare in mille modi diversi, grazie a spettacoli dal vivo, in radio, tv e su diverse piattaforme di stand-up comedy. Romano, classe ’87, ha da poco concluso la sua esperienza su Rai Play con il suo show satirico “Paese Reale”. Ed è stato il primo italiano ad avere un suo show su Netflix. Non è finita: nei giorni scorsi è sbarcato sulla BBC protagonista dello show radiofonico “The Arts Hour on Tour in Rome” (in replica questa mattina, 29 dicembre, alle 11.05) su BBC World Service, canale che ha una media giornaliera di 97 milioni di ascoltatori. Lo show racconta come gli artisti romani stanno vivendo la pandemia.
Edoardo, sei l’uomo dei primati: sei stato il primo stand-up comedian italiano ad avere uno suo show su Netflix. Come ci si sente?
“Che grande soddisfazione. Ero felice come un bambino. Io sono cresciuto con Netflix e mai avrei immaginato di essere il primo artista italiano ad avere quello spazio. Una delle cose più belle di questa esperienza è stata che ho potuto confrontarmi con una platea di pubblico mondiale”
Hai da poco concluso l’esperienza su Rai Play con il tuo show “Paese Reale”. Come ti è venuto in mente un programma di questo tipo?
“L’idea è nata durante il lockdown di marzo-aprile. Notavo che tutti i talk show di quel periodo finivano per parlare inevitabilmente del virus. Ci sono dei talk che trasformano il salotto televisivo in un palcoscenico, dove gli ospiti possono tirare fuori il loro ego smisurato, fino a quando le opinioni non oscurano completamente il fatto, la notizia. A me, poi, questa parola, “paese reale”, ha sempre fatto molta paura: la nominano sempre tutti, forse per far vedere di essere al fianco della gente comune. Ma non è così: in fondo, questa espressione, rappresenta l’ennesimo tic di cui soffre l’informazione italiana”.
Lo show della BBC World Service “The Arts Hour on Tour in Rome” racconta le città attraverso le voci dei suoi artisti, nei mesi della pandemia. Come descrivi al mondo questo momento?
“Cerco di descrivere la ‘dimensione romana’ del virus, tra cinismo e disillusione, tipica della città. Per noi romani, il Covid sembra quasi un’imposizione dall’alto, venuta da chissà quale autorità. E poi descrivo come un italiano viene visto all’estero: chiassoso, caciarone, ma sempre pronto a socializzare. Un modo per non socializzare all’estero con un italiano? Non ho dubbi, quello di fingersi francese”.
Come nascono i tuoi personaggi?
“I miei personaggi nascono dall’osservazione. Mi piace molto ascoltare i dialoghi delle persone e coglierne le caratteristiche, ad esempio al bar o al ristorante”.
E all’Ufficio Postale?
“L’Ufficio Postale è uno dei luoghi che mi ispira di più. Spesso, creo i miei personaggi ad immagine e somiglianza di chi frequenta questi luoghi. Avete mai provato ad ascoltare i dialoghi delle persone, mentre attendono il loro turno in un Ufficio Postale? Sembra di essere su un palcoscenico. Fantastico davvero”.
Esiste un pacco o una cartolina, spedita o ricevuta, a cui sei particolarmente affezionato?
“Proprio alcuni giorni fa, un mio amico che vive nello Iowa, negli Stati Uniti, mi ha spedito un pacco. Dentro c’era un mio cappello. Lo avevo dimenticato ben 20 anni fa, a casa sua. Quando è arrivato il postino per consegnarmelo, avrei voluto abbracciarlo”.