“Buonasera, cercavo Francesco Guccini”, dico appena una voce afona risponde all’altro capo del filo, «sono io» risponde lui tranquillo. Allora, mentre lo ascolto, è come se dicessi a me stesso che sto parlando con l’autore de “La locomotiva”, “L’avvelenata”, di “Dio è morto”, il genio che ha scritto “Canzone per un’amica”. Sì, è vero, sto parlando con il cantore di un’epoca, l’autore di album indimenticabili che ho ascoltato in tempo reale negli anni giovani, e libri come “Cròniche epafàniche”, “Vacca d’un cane”, il bellissimo “Tralummescuro”, narrazioni delle radici e di Pàvana, da dove ha risposto al telefono fisso di casa, il paese quasi disabitato tra la Toscana e l’Emilia. Sto parlando con il Maestrone, soprannome coniato dagli amici non tanto per via del diploma magistrale, ma per la sua altezza e robusta corporatura. Il celebre cantautore, un mito vivente per molte generazioni, risponde affabile alle mie domande, anzi si giustifica per l’abbassamento di voce, sforzandosi per farsi sentire. Di lettere ne ha scritte, certo, “secoli fa” dice divertito, ridacchiando, “le scrivevo a un amico con il quale sono rimasto in contatto, alle quattro donne della mia vita, tra la fine degli anni ’50 e i primi del ’70, e poi da militare ai vecchi amici di Modena”. Missive inconfessabili, burlesche, scritte dal sottotenente di complemento Guccini a Trieste, “lettere piene di giochi, di scherzi, di oscenità, eravamo ragazzi” si giustifica, continuando a dirmi con l’inconfondibile r arrotata e la verve da grande affabulatore che potevano iniziare con un “vecchia baldracca”, nomi dispregiativi di animali, per esempio, per tacere di appellativi più coloriti e volgari.

Fantasie giovanili
Uno dei destinatari di queste lettere comiche e derisorie era il suo amico d’infanzia Franco Bonvicini, nome d’arte Bonvi, il fumettista anarcoide inventore di “Sturmtruppen”, che rispondeva raccontando storie fantastiche, completamente fasulle, inverosimili, “pseudologia fantastica” la definisce, “era un grande inventore di storie” (insieme realizzarono nel 1969 “Storie dello spazio profondo”, il fumetto fantascientifico che ha anticipato “Guerre stellari”). A lui e a un altro amico, Victor Sogliani, con il quale Guccini formò il gruppo “I gatti”, poi bassista dell’Equipe 84, entrambi scomparsi prematuramente, ha dedicato una canzone intitolata per l’appunto “Lettera”, contenuta in “D’amore, di morte e di altre sciocchezze”, un disco del 1996. È una canzone segnata da una struggente nostalgia, scritta proprio con il tono confidenziale di una corrispondenza intima, “una riflessione sui nostri anni giovanili, dove faccio un bilancio simulando di parlare con loro, di quello che avevo e avevamo fatto”, confessa il grande cantastorie, “le nostre fantasie giovanili in parte si erano avverate, altre no”, continua a dirmi, “sono partito di pacca con la prima strofa, costruita bene, piena di consonanze, di rime, poi è stato difficile continuare”, chiosa beffardo, “ma quella è venuta all’improvviso: In giardino il ciliegio è fiorito/Agli scoppi del nuovo sole/Il quartiere si è presto riempito/Di neve, di pioppi e di parole”.

Il legame con la posta
Il suo rapporto con la posta comincia con suo padre Ferruccio come un destino, già impiegato in tempo di guerra e dopo capoufficio al telegrafo prima a Modena e poi a Bologna: “C’era un impiegato che voleva trasferirsi, lui prese il suo posto e così cambiammo città”, dice, e il suo primo lavoro fu quello di istitutore alla colonia dei postelegrafonici “Villa Marina” a Pesaro. “Non ero adatto, mi hanno cacciato dopo due mesi”. Di lettere ne riceve molte anche adesso, “i contenuti sono i più vari, richieste di autografi, di un possibile incontro, storie personali, inviti a scrivere a una ragazza per convincerla a mettersi insieme, quando posso rispondo”. Una molto bella gliel’ha scritta l’Arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi per i suoi 80 anni, pubblicata da L’Osservatore Romano: “Ecco, in questa bellissima storia che è la vita, l’amicizia penso contenga tanto di quel mistero di Dio che hai cantato, che dopo tre giorni risorge e che continua a morire ‘ai bordi delle strade, nei campi di sterminio, coi miti della razza, con gli odi di partito’, gli scrisse citando la canzone ‘Dio è morto’ del 1967. Ha composto anche ‘Auschwitz’ senza esserci mai stato, poi fece un viaggio lì proprio insieme a Zuppi, oggi diventato cardinale, ‘un viaggio toccante’, racconta Guccini, “è impressionante, un pugno allo stomaco, il più grande cimitero al mondo senza una tomba” definisce il campo di concentramento simbolo mondiale dello sterminio.

Amori lontani
Una volta, invece, alla fine degli anni ’60, riceveva le lettere continentali per Posta aerea della fidanzata Elois da Pittsburgh, “allora i postini arrivavano in bicicletta”, ricorda, quelli di una volta che ha raccontato nel “Dizionario delle cose perdute”: “Un tempo il postino, almeno in città, arrivava di prima mattina e nel primo pomeriggio. Il che rendeva felici gli innamorati lontani che potevano ricevere anche due dolci missive della controparte in una sola giornata” scrive. Ma c’è anche una lettera che avrebbe voluto scrivere e invece si è trasformata in un pezzo, “Canzone quasi d’amore”, “l’ho scritta per una ragazza con la quale ero quasi fidanzato che poi è diventata anche la mia compagna”, dice con dolcezza, “è una lettera anche quella, una lettera cantata”, ammette, “scritta con la musica e la voce”.

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