“Spero che l’occasione del Giorno della Memoria contribuisca a rinsaldare il legame civile e morale fra tutti noi. In un periodo drammatico come l’attuale ne abbiamo particolarmente bisogno”. A scriverlo, in una lettera indirizzata al Consiglio Regionale delle Marche, è Liliana Segre in occasione del Giorno della Memoria. La senatrice a vita, sopravvissuta alla Shoah, sottolinea che “senza memoria il senso della storia, delle cause, delle conseguenze, delle responsabilità, è impossibile una cittadinanza consapevole e pienamente democratica”. Segre cita le parole di Primo Levi: “Meditate che questo è stato. Era un monito – rileva – se è stato, può ancora essere, può ancora tornare. Mai abbassare la guardia, mai girare la testa dall’altra parte”. “Non va dimenticato che quell’evento – sottolinea Segre riferendosi all’apertura dei cancelli di Auschwitz – non significò affatto la fine delle atrocità. Il giorno prima della liberazione era iniziata una terribile ‘marcia della morte’ che vide i nazisti spingere migliaia di sopravvissuti stremati, al gelo e alla fame, sempre più verso Ovest. Quest’ultimo orrore – aggiunge – si concluse solo i primi di maggio del 1945. Eravamo migliaia all’inizio – scrive ancora Segre – ma solo un pugno di noi poche decine, riuscì a sopravvivere. Per questo – conclude – è così importante la conoscenza storica e la conservazione della Memoria”.
Un asteroide per non dimenticare
Ieri l’International Astronomical Union ha intitolato un asteroide con il codice 75190, il numero che le era stato tatuato sul braccio. È il 30 gennaio 1944 quando Liliana Segre viene deportata dal binario 21 della stazione di Milano Centrale per “destinazione ignota”. Ha tredici anni. Dopo sette giorni di un “viaggio disumano” raggiunge il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, dove viene subito separata dal padre, che non rivedrà mai più e che sarebbe morto il successivo 27 aprile. “Eravamo in 605 sul convoglio che raggiunse Auschwitz il 6 febbraio. Per oltre la metà donne. Fummo scelti per la vita in 128: 31 donne e 97 uomini”. Marchiata con il numero 75190 sul braccio, viene selezionata come operaia-schiava nella fabbrica di munizioni Union, che apparteneva alla Siemens e che si trovava nei pressi del campo. Ad Auschwitz, però, Liliana rifiuta la disumanità e l’indifferenza: “Dicevo, voglio vivere! E per scegliere la vita inventai un escamotage. Scelsi di non essere lì, anche se era vero che morivo di fame, di freddo, di botte, che ero in realtà sola e profondamente disperata e triste, ecco io sceglievo di essere quella di prima, mi vedevo correre in un prato, su una spiaggia a fare il bagno, nella mia casa di allora, io che mi ero identificata con una stellina che vedevo lì nel cielo. E dicevo ‘Io sarò viva finché quella stellina brillerà e quella stellina brillerà finché sarò viva’”.