Francesco Guccini, con le sue canzoni, ha descritto un’epoca, fatta di lotte, battaglie, contrasti e forti ideali. Canzone per un’amica, Dio è morto, L’avvelenata o La locomotiva: parole e melodie destinate a rimanere nella cultura italiana. Non tutti sanno che Francesco è stato anche il figlio di Ferruccio, nato nel 1911, soldato catturato a Corinto dopo l’8 settembre 1943 e deportato nei “campi di lavoro” di Leopoli prima e di Amburgo poi, proprio perché si schierò contro la dittatura nazifascista. E, probabilmente, non tutti sanno che Ferruccio era anche un impiegato delle Poste. È morto nel 1990. Fino alla pensione, ha lavorato nella Filiale di Modena, con passione e profonda dedizione all’azienda. Fu chiamato alle armi durante la Seconda Guerra Mondiale e nei giorni scorsi, a più di trent’anni dalla morte, gli è stata conferita la Medaglia d’Onore, assieme ad altri undici cittadini italiani deportati. La medaglia per Ferruccio, consegnata in Prefettura dal sindaco di Bologna nella Giornata della Memoria, è stata ritirata dalla nipote Teresa, figlia del cantautore.
Il ricordo di Francesco
È proprio Francesco Guccini a tratteggiare un toccante ricordo di suo papà: “Credo che mio padre – esordisce il cantautore, in una intervista rilasciata al Corriere della Sera lo scorso 28 gennaio – in prigionia abbia visto cose talmente disumane da non poter essere raccontate. La sua triste esperienza ha lasciato tante tracce. Come un piccolo quaderno della prigionia. In queste pagine, con una grafia minuta e precisa, nel campo aveva annotato delle ricette. Perché non voleva perdere il ricordo dei sapori, dei profumi buoni”. “Eppure papà – continua Francesco Guccini – non parlava volentieri della prigionia, però quel periodo lo ha trasformato. Si vedeva anche da piccoli dettagli, solo in apparenza insignificanti. Pensate che una volta sono andato a suonare in Germania e prima che partissi lui mi suggerì, una volta che fossi lì, di assaggiare il cavolo rapa, perché secondo lui era buonissimo. Io non capii subito. Dire che il cavolo rapa è una specialità, mi sembrò un’affermazione assurda, ma poi ho colto il vero senso di quelle parole. Perché anche il cavolo rapa, se mangiato in prigionia, diventa buono, quantomeno perché toglie la fame”. Una persona umile e discreta, Ferruccio Guccini. Lavorava alle Poste con scrupolo e dedizione e “amava le lettere, l’arte, le materie umanistiche. Si era comprato un’enciclopedia di grossi volumi, leggeva i compendi storici. Si sforzava di parlare in italiano, aveva delle velleità che io oggi ammiro. E persino quando partì per la guerra, meritava un grado superiore che però non richiese mai. Era fatto così, papà”, conclude il cantautore nel suo personale ricordo al Corriere della Sera.