Porta la data del 1981 la “Lettera sull’emarginazione”, ma nel 2021 mantiene sostanziale attualità di denuncia contro l’indifferenza. Solo un segmento breve della lettura sociale e culturale di allora è cambiato e gli ideali discussi e proposti sono ancora davanti alla società e a ciascuno, credente o non credente. Tutti, ugualmente spaesati da un virus sanitario che rischia seriamente di spingere l’Italia in un arretramento di umanità, possono attingere da questo scritto con singolari motivi di speranza. Si tratta di una Lettera alle persone di buona volontà: nessuno in modo o nell’altro può dirsi estraneo ai poveri. Leggere la Lettera è, dunque, prendere coscienza di uno spartiacque sull’inadempienza quotidiana nei confronti dei poveri, ricacciati abitualmente ai margini sociali. Si tratta di un appello ragionato a passare dalla concessione benevola alla giustizia; dal solamente pensare che un mondo nuovo sia possibile, garantendo felicità ciascuno per sé, all’operare insieme per un mondo garante di felicità per tutti. Se ciascuno pensa a sé, tutti vivranno un’infelicità condivisa.

Ricerca e dialogo

“Sarete liberi davvero” è il titolo di “Lettera sull’emarginazione” scritta nello stile e nella grafica di “Lettera a una professoressa” di don Milani. Lettera collettiva di alcuni credenti (giovani e adulti, sposati e non, sacerdoti, religiosi e laici) che operavano agli inizi delle Comunità di accoglienza, sorte per rispondere insieme alla novità del Vangelo, collocandosi all’interno delle varie forme di povertà crescenti. Indulgenti con i poveri, esigenti verso di sé, incalzanti verso la società politica e la Chiesa, gli autori scrivono che nella Lettera “sono presenti prospettive e certezze, cose vissute e speranze desiderate. Tra le righe si scoprono piccoli orgogli e impennate di collera”. E ancora: “Pubblicandole desideriamo partecipare le nostre conclusioni parziali e provvisorie, non considerando terminata la strada di ricerca e di dialogo, rendendoci conto che per la peculiarità dell’esperienza, le parole possono apparire, di volta in volta, suadenti e irritanti, sicure e da discutere”. Trentacinque gli estensori di questo testo collettivo la cui ispirazione ultima va cercata nella scossa del Concilio Vaticano II all’indolenza del vivere cristiano, appiattito nella secolarità con le sue contraddizioni. Oggi, alla luce di cambiamenti ecclesiastici ormai evidenti nelle indicazioni di Papa Francesco, la Lettera appare profetica. Lo era anche allora, ma restò marginale essa stessa nel cammino della società italiana e nella Chiesa. Stiamo tuttora a lamentare mali e cercare medicine all’emarginazione cresciuta in forma esponenziale con la crescita degli egoismi. Una crisi economica endemica allarga a macchia d’olio le fasce sociali emarginate, ossia considerate fuori dagli interessi collettivi, superflui vuoti a perdere, scarti di cui liberarsi. Il senso di abbandono, di sporcizia, il ricorso alle furbizie piccole e grandi dell’arrangiarsi per sopravvivere, nelle città convivono con iniziative generose di solidarietà, bellezze artistiche mal godute, ignorate.

Per scuotere le coscienze

Le parti più valide e tuttora feconde della Lettera sono quelle descrittive dell’emarginazione, risultanza evidente di mancate risposte politiche ai disagi sociali. La politica asservita e snaturata dagli interessi di parte distorce l’economia che, a sua volta, svuota la politica della sua ragione primaria di servizio al bene comune. L’emarginazione pertanto “è conseguenza dell’impostazione politica, economica, culturale, etica della società”. E quando “nella vita sociale e politica scoppiano i cosiddetti ‘scandali’, nessuno si meravigli. Sono l’esatta espressione dei desideri repressi di potere e di ricchezza di cui è piena la società”. Questa lettera è un grido che anticipa l’appello di Francesco contro l’indifferenza “nella trafficata vita della città, dove tanti si ritrovano soli con la propria povertà e sofferenza. Un segno che riscuote le coscienze assopite e invita ad avere compassione di chi è ferito, a chinarsi con tenerezza su chi è schiacciato dal peso della vita”.