In un futuro non troppo lontano, mentre i servizi digitali andranno via via a sostituire quelli tradizionali, si potrà immaginare un Ufficio Postale dove – una volta lasciatasi alle spalle la pandemia – consumare il caffè, dove cioè si valorizzi il ruolo di aggregazione e socializzazione che gli sportelli di Poste Italiane hanno ancora in certi luoghi del nostro Paese. Così come sarà fondamentale confermare l’importanza della consulenza faccia a faccia per i risparmiatori italiani: “Ci sono servizi che, per ragioni di semplificazione e sostenibilità finanziaria, è sano spostare sul digitale, altri che, al contrario, richiedono una relazione fisica tra le persone: il ruolo dell’interfaccia umana nella consulenza sul risparmio degli italiani è e resterà fondamentale”, sostiene Luciano Floridi, docente di Filosofia ed Etica all’Università di Oxford, dove dirige il Digital Ethics Lab dell’Oxford Internet Institute. Nella “quarta rivoluzione” – dopo quelle di Copernico, Darwin e Freud – teorizzata da Floridi i confini tra vita online e offline in realtà tendono a scomparire: siamo ormai connessi, senza soluzione di continuità, in una “infosfera” globale. E le nostre attività quotidiane – come facciamo acquisti, lavoriamo, ci divertiamo, coltiviamo le nostre relazioni – sono sempre più riconducibili a una realtà mista, “onlife”, secondo la fortunata espressione coniata dal filosofo. “Onlife” è ormai anche l’attività dei postini e di chi sta agli sportelli di Poste Italiane, come sa bene questo studioso di fama internazionale cresciuto in un piccolo centro del Frusinate, Guarcino, dove tuttora la comunità si riunisce intorno all’Ufficio Postale.
Professor Floridi, la pandemia ha ulteriormente “indebolito” le barriere tra la vita online e offline di ciascuno di noi. Quali sono i rischi e quali le opportunità di questo cambiamento?
“Il digitale ha eroso i limiti entro i quali abbiamo sempre organizzato il tempo: non esistono più concetti come “mattina”, “pomeriggio”, “dopo cena”, abbiamo perso i riferimenti temporali che scandiscono le nostre giornate. Per calarci nella realtà postale, una volta sapevamo che il portalettere arrivava la mattina, magari intorno alle 10.30, oggi il delivery arriva dalle 7 del mattino alle 7 di sera, per non parlare dei messaggi di posta elettronica che arrivano da tutto il mondo 24 ore su 24 sette giorni alla settimana. Lo sbriciolarsi dei limiti temporali riguarda ogni sfera della nostra vita: il lavoro, la scuola, la salute, l’intrattenimento, gli acquisti, I servizi. Questa destrutturazione ci confonde ma ci dà anche più spazio: il giorno in cui torneremo a una vita “neonormale”, post-pandemia, ritroveremo l’ufficio, la pizzeria, lo stadio, i concerti e anche l’ufficio postale, ma avremo, in più, questo spazio digitale in cui ormai siamo abituati a muoverci. Se riusciremo a proteggerlo e a sfruttarlo avremo una modalità in più per esprimerci, comunicare e interagire”.
Che cosa si intende con l’espressione “onlife” e quali sono le sue implicazioni nella realtà distopica del Covid-19?
“Non esiste più una netta distinzione tra online e offline. “Onlife” indica la possibilità di avere un’esperienza che mette insieme in maniera complementare spazi fisici e spazi digitali. La pandemia ha accelerato un processo che era già in corso da tempo. Pensiamo proprio alla posta: le consegne vengono effettuate da persone che percorrono strade fisiche ma che hanno in dotazione le tecnologie necessarie per il tracking dei veicoli e dei pacchi. Non ha molto senso parlare di online e offline: meglio essere consapevoli di trovarsi in una realtà mista, che presenta problemi e opportunità. I problemi li abbiamo visti con la didattica a distanza e lo smart working: non tutti hanno gli spazi fisici, i mezzi tecnologici e le competenze per gestire la scuola e il lavoro da casa. In altre realtà, a noi per fortuna meno familiari, ci sono ostacoli ancora più grandi: in certi paesi, in metropoli dove la criminalità regna sul territorio non esiste la consegna a domicilio perché è considerata troppo pericolosa. Sono problemi di cui però non si può occupare il mercato. È la società e la Politica, auspicabilmente quella con la P maiuscola, che deve risolverli”.
Il crescente ricorso all’intelligenza artificiale e alle comunicazioni digitali sta modificando il nostro modo di rapportarci con gli altri. Che cosa sta accadendo alle relazioni umane?
“Farei una distinzione: l’intelligenza artificiale funziona molto bene nella comunicazione quando rappresenta un supporto per operazioni automatiche standardizzate che non richiedono l’interazione umana: a New York per prenotare un tavolo al ristorante ormai si “parla” con un chatbot. Questo non è possibile per interagire con un medico o, almeno non sempre, per rispondere alle esigenze di un paziente. Se una grande azienda vuole migliorare la customer experience deve capire come utilizzare gli strumenti giusti per gli scopi giusti. L’intelligenza artificiale può generare senz’altro risparmi ma se usata in modo sbagliato peggiora l’esperienza umana e, alla lunga, porta a una mancanza di soddisfazione e a una perdita di clienti. La comunicazione digitale, invece, comporta sempre un accorciamento delle distanze. Siamo tutti a un click di distanza l’uno dall’altro. Questo “affollamento”, se non governato, può generare frizioni e scontri, proprio come se fossimo tutti a bordo di un autobus molto affollato a pestarci i piedi o a scambiarci qualche gomitata. La comunicazione digitale è una grande risorsa ma, in alcuni casi, può trasformarsi in una seccatura. Il mio esempio di docente è applicabile a tutte le situazioni: ricevo messaggi di posta elettronica da tutto il mondo, dall’Alaska all’Australia, non si tratta sempre di richieste a cui rispondo volentieri. Ma se non rispondo so che passerò per un “maleducato digitale”, perché la distanza è talmente ridotta che non dare seguito a una richiesta così vicina viene percepito come un atto di maleducazione”.
Come si manifesta il cambiamento relazionale nelle grandi organizzazioni e nelle realtà lavorative?
“Bisogna abbandonare il modello gerarchico che le aziende hanno ereditato dal mondo militare e ragionare in termini di network distribuito. La comunicazione non deve essere né verticale né “a stella”, dal centro alla periferia, ma pensata come una rete da pesca, dove ciascun nodo è collegato a tantissimi altri. Per tornare alla posta, mettere in comunicazione i postini di Guarcino, Alatri e Fiuggi potrebbe portare a scoperte e soluzioni molto interessanti da tradurre in servizi utili per la provincia di Frosinone”.
Per Poste Italiane, che – per numeri, capillarità e varietà dei servizi – è un’enorme “macchina” che contribuisce al funzionamento del Paese, cosa significa operare in una dimensione di mutate relazioni con il cliente, considerando anche il ruolo sociale tradizionalmente affidato alle Poste in Italia?
“Volendo fare un po’ di filosofia partirei da una premessa molto semplice: non bisogna farsi influenzare da schemi prefissati ma riconoscere che oggi ci sono cose che si fanno meglio in versione digitale e altre che si fanno meglio in versione analogica. Bisogna mescolare entrambe. Se devo effettuare un pagamento mi basterà un’app o un sito, ma se devo chiedere un mutuo o un consiglio su come investire i miei risparmi preferirò sempre il confronto con un consulente, magari incontrandolo su una piattaforma web. Affidarsi al digitale significa anche poter investire sulla formazione del personale per erogare di persona servizi sempre più qualificati. Sono strade che Poste Italiane può percorrere e sta già percorrendo. Senza dimenticare il ruolo sociale che, soprattutto nei piccoli centri, i portalettere e gli Uffici Postali hanno per i cittadini. Immagini contesti in cui ci sono persone che non sanno leggere e scrivere. In generale, la presenza di Poste rappresenta un servizio di alta qualità per la comunità, oltre che un punto di incontro e di aggregazione dove, una volta finita la pandemia, sarebbe bello anche poter consumare un caffè insieme. Non possiamo pensare che nel centro di Milano o in un aeroporto l’Ufficio Postale abbia la stessa funzione che nei piccoli comuni: la “sartorializzazione” dei servizi fa bene al business, ai clienti e al Sistema paese”.