Virginia, la figlia di. È capitato anche a lei – come a milioni di altre donne – che in ogni epoca sono identificate non nella loro singolarità e dignità di persone, ma in rapporto a un uomo. Virginia Galilei è ricordata anzitutto come figlia di Galileo Galilei, padre della scienza moderna. Se il padre non fosse stato tanto illustre, le 124 lettere d’affetto filiale e stima grande, sarebbero state inghiottite dal tempo. E a torto. Per il padre celebre e perseguitato lei è stata la figlia della gioia. Le lettere scritte da Virginia nell’ultimo decennio di sua vita conclusa a soli 34 anni, venti dei quali chiusa in monastero di clausura con il nome di suor Maria Celeste, lo testimoniano. Hanno un valore in sé prima che nella celebrità del destinatario. I delicati sentimenti e la stima verso il padre sono indiretta testimonianza di quanto inappropriato fosse il processo a Galilei. Meraviglia infatti la perspicacia di una giovane donna intuitiva del valore delle scoperte paterne, negato dall’invidioso scetticismo dei circoli letterari e religiosi che gli resero amara la vita. Con amore tenero e intelligente accompagnò il padre esposto in un epico confronto con l’Inquisizione a difesa del moderno metodo scientifico. Se il padre carpiva segreti agli astri, la giovane Virginia assorbiva il suo metodo di conoscenza, a dispetto di una vita da subito in salita perché discriminata come bambina nata al di fuori del matrimonio.
Il tenerissimo amore filiale
Virginia, chiusa appena adolescente dal padre con la sorella minore in convento, quale unica protezione alla discriminazione sociale, è divenuta emblema di amore filiale tenerissimo e ha varcato con una mente vivace le mura di un monastero povero, periferico e dagli angusti orizzonti esistenziali. È grazie alle sue lettere che noi ricordiamo, sì, suor Maria Celeste come figlia di Galilei, ma Galilei anche come quel celebre scienziato con una figlia di nome Virginia. Nella vita del padre, infatti, Virginia è stata un’isola di pace nella tempesta del potere inquisitorio. Le amarezze sarebbero state insopportabili senza il balsamo d’amore della figlia che lo comprese e sostenne con audacia rara per la scienza. Percepire un genio e armonizzarsi con lui anziché temerlo o contrastarlo, non accade quasi mai. Virginia Galilei è stata una delle sparute eccezioni storiche in tal senso. Le sue lettere lo confermano. Una in particolare inviata da suor Maria Celeste a Galileo proprio nell’anno del processo e dell’abiura coatta impostagli dal Tribunale dell’Inquisizione. “Dal signor Geri – si legge in una lettera del 20 aprile 1633 – mi viene avvisato in qual termine Ella si ritrova per causa del suo negozio, cioè ritenuto nelle stanze del Sant’Uffizio; il che per una parte mi dà molto disgusto, persuadendomi ch’Ella si ritrovi con poca quiete dell’animo, e fors’anco non con tutte le comodità del corpo: dall’altra banda, considerando io la necessità del venire a questi particolari, per la sua spedizione, la benignità con la quale fino a qui si è costà proceduto con la persona sua, e sopra a tutto la giustizia della causa e la sua innocenza in questo particolare, mi consolo e piglio speranza di felice e prospero successo, con l’aiuto di Dio benedetto, al quale il mio cuore non cessa mai d’esclamare, e raccomandarla con tutto quell’affetto e confidenza possibile. […] Carissimo signor Padre, ho voluto scriverli adesso, acciò Ella sappia ch’io sono a parte de’ suoi travagli, il che a Lei dovrebbe essere di qualche alleggerimento: non ne ho già dato indizio ad alcun’altra, volendo che queste cose di poco gusto siano tutte mie, e quelle di contento e sodisfazione siano comuni a tutti”. E infine: “Piaccia al Signore (se è per il meglio) di conservarmelo ancora lungo tempo, perché dopo di lui non mi resta bene alcuno nel mondo. Ma è pur gran cosa ch’io non sia buona per rendergli il contraccambio in cosa alcuna. Procurerò almeno, anzi al più, d’importunar tanto Dio benedetto e la Madonna Santissima che egli si conduca al Paradiso; e questa sarà la maggior ricompensa ch’io possa darle per tutti i beni che mi ha fatti e fa continuamente”.