Testa, cuore, gambe: questo è il motto di Antonio Cabrini, simbolo di un calcio a cui veniva riconosciuto uno straordinario valore tecnico e umano. È il campione del mondo che, assieme ai suoi eroici compagni, ha scritto pagine memorabili per il calcio azzurro. Ma era anche il “fidanzato d’Italia” o “il Bell’Antonio”, quando, su quella fascia, vinceva tutto con la maglia dell’amata Juventus. Ed è proprio dalle emozioni in bianconero che inizia la chiacchierata di Postenews con il campione, oggi 63enne.
Antonio, si diceva spesso che la Juve fosse uno stile, dentro e fuori dal campo: ci spieghi cos’era lo stile-Juve?
“Non parlerei tanto di stile-Juve, ma di DNA bianconero. È qualcosa che ti rimane dentro, anche quando non fai più parte dell’ambiente. È qualcosa di vincente, che ti spinge sempre a voler raggiungere il massimo traguardo. Io, della Juve, non sono solo tifoso: mi sento un suo amante. Con la Juventus sono cresciuto, lì ho passato gli anni più belli della mia vita. Ho dato il meglio di me e, a volte, sono anche andato oltre”.
Ex terzino, ex “fidanzato d’Italia”, oggi coach: qual è il ruolo che ti stuzzica di più?
“Oggi sono il presidente di Azzurri Legends della FIGC, la squadra formata dai campioni che hanno scritto la storia della Nazionale e svolgo il ruolo di mental coach per varie aziende italiane. I ruoli che mi stuzzicano di più sono sempre gli ultimi che interpreto. Io guardo sempre avanti”.
La cosa che colpisce di te, è che sei rimasto una persona umile. Anche nel ricordare i tuoi successi.
“Io ricordo tutto. Anche un torneo che vinsi con la Cremonese quando ero poco più di un bambino. Poi ci sono i tanti trionfi con la mia Juventus. Sul Mondiale in Spagna, i maligni mi chiedono del rigore fallito nella finale contro la Germania. Ma, che diamine, io preferisco ricordare il gol che feci all’Argentina! Forse il più importante della mia carriera”.
In quegli anni eri il “Bell’Antonio”, soprannome che ti diede Gianni Brera.
“Ma io sono sempre stato “Cabro”: così mi chiamò il mio primo allenatore e in quel soprannome mi sono sempre identificato. Il “Bell’Antonio” non mi è mai piaciuto molto”.
Tra le figure di grandi personaggi che ti è capitato di incontrare in carriera, c’è quella dell’Avvocato Agnelli. Lui era famoso per le continue domande che rivolgeva ai suoi giocatori. Ma c’era un problema, vero?
“Forse alludete al fatto che l’Avvocato mi telefonava alle 6 del mattino. E lo faceva anche con altri miei compagni della Juve. Voleva essere informato su tutto: su come stessi dopo un infortunio, su come avevo visto la Juve in campo. Un giorno Platini gli chiese di cambiare abitudini: “È un onore per me ricevere le sue chiamate – gli disse Michel – ma non potrebbe telefonarmi un po’ più tardi?”. Fu la prima volta che l’Avvocato accettò quella proposta. Una persona eccezionale, di un carisma incredibile”.
C’è un’immagine che traduce la vostra vittoria ai Mondiali di Spagna ’82: quella che ritrae, su un francobollo di Poste Italiane, le mani del capitano della nazionale, Dino Zoff, mentre innalzano la Coppa del Mondo.
“Ricordo bene quel francobollo di Poste. Lo realizzò Renato Guttuso. Ancora oggi, nell’ammirarlo, mi emoziono. Sapete che Guttuso era mio amico? Una volta lo andai a trovare, a casa sua, nella villa sul lago di Varese. Il maestro stava dipingendo e mi chiese di invertire i ruoli: volle che fossi io a ritrarre lui. Ovviamente, i risultati furono disastrosi. Con la palla ai piedi ci sapevo fare, con un pennello in mano, un po’ meno”.
Quante lettere hai ricevuto dalle tue ammiratrici?
“Ricevevo pacchi di lettere, che giravo a mia madre. Era lei che rispondeva per me. A un certo punto, le Poste ci diedero il timbro, per fare prima. Ricordo ancora la simpatica motivazione: ad Antonio Cabrini, uno dei nostri clienti più fedeli”.