Alessandro D’Avenia, siciliano, è scrittore, sceneggiatore, e con il romanzo d’esordio “Bianca come il latte, rossa come il sangue” (Mondadori, 2010) ha subito conquistato il grande pubblico internazionale. Sono seguiti, tra gli altri, “Ciò che nessuno sa”, “Ciò che inferno non è”. D’Avenia scrive sul Corriere della Sera e cura il blog profduepuntozero. Lo abbiamo incontrato in occasione dell’uscita del suo ultimo romanzo “L’appello” (Mondadori, 2020).
Quale è stato nel tempo il suo rapporto con la corrispondenza? Ci sono state delle lettere, scritte o ricevute, che hanno segnato momenti importanti della sua vita?
“Ne ho vissuto la trasformazione. Ho conosciuto l’esaltazione della lettera scritta a mano, quelle che ricevevo dai miei fratelli lontani dalla città natale, o che scrivevo io a familiari e amici. Per non parlare delle lettere d’amore… Conservavo tutte le lettere e amavo rileggerle periodicamente come una conversazione mai interrotta con l’interessato. Non dimenticherò mai quella di una lettrice che aveva deciso di suicidarsi. La corrispondenza che abbiamo intrattenuto ha interrotto il suo proposito ed è stata fonte di ispirazione per me. L’epistolario che ho amato di più è quello ritrovato in una cassa in soffitta: le lettere di corteggiamento dei miei genitori. Noi figli le abbiamo rimesse in ordine e rilegate in un libro che abbiamo regalato loro in un anniversario di matrimonio (ora sono 55): da quelle lettere dipende che io sia qui a rispondere a questa intervista”.
Lei di recente ha scritto una lettera ai suoi colleghi professori, invitandoli a uccidere di meraviglia gli allievi, di stupirli, e un libro, “L’arte di essere fragili”. Come mai ha scelto la forma epistolare?
“L’arte di essere fragili è un epistolario immaginario intrattenuto con Leopardi. I motivi sono due: la lettera spinge a un ‘tatto’ che rende la scrittura più calda e intima. Quel libro, infatti, non è un saggio, non ha il tono della lezione, né quello del diario, ma un vero e proprio dialogo fra amici fuori dallo spazio e dal tempo. Inoltre, la scrittura di una lettera dona nuova unità alla propria vita interiore quando è dispersa o distratta. In fondo quando scrivi una lettera il vero tu a cui ti rivolgi sei tu stesso, per poi far ascoltare quel discorso interiore al destinatario a cui affidi un pezzetto d’anima che lui conserverà”.
Nella sua storia di lettore e di scrittore, ci sono stati degli epistolari che l’hanno interessata?
“Tra le cose che amo di più leggere ci sono proprio gli epistolari. Le lettere tra Guido Gozzano e Amalia Guglielminetti, tra Leopardi e i suoi fratelli e amici, tra Dylan Thomas e le sue amanti, tra Zelda e Scott Fitgerald, tra Kafka e Milena, tra Keats a Fanny, tra Ingeborg Bachmann e Paul Celan, tra Osip Mandel’stam e la moglie Nadežda… e ce ne sono molti altri. Perché? Perché ho scritto un libro di 36 storie d’amore di donne che hanno provato ad amare artisti, spesso basate su questi epistolari. Ogni storia è una storia d’amore. Inoltre, uno dei miei libri preferiti è un epistolario: ‘Lettere a un giovane poeta’ di Rilke”.
Immagino riceverà lettere da lettori e colleghi. Cosa le scrivono?
“Il rapporto epistolare con i lettori è intensissimo e se potessi mi dovrei dedicare solo a questo: il non riuscire a rispondere spesso mi fa sentire in colpa… Ma poi penso che ogni lettore ti scrive come un vecchio amico a cui tu hai già mandato una lunga lettera: il libro che ha appena letto. Mi scrivono di tutto: dai semplici complimenti a quanto la lettura li abbia liberati da alcune prigioni. Ricordo una bellissima lettera di un uomo che dopo aver letto un mio libro, “Cose che nessuno sa”, aveva deciso di tornare dalla moglie da cui si era da poco allontanato in un momento di crisi”.
A chi vorrebbe scrivere la sua prossima lettera in pubblico? E perché?
“A Dante, perché nell’anno in cui ricorrono i 700 anni dalla sua morte, vorrei che noi Italiani trovassimo un po’ del suo amore per la nostra terra unica e bellissima, per Dio e un po’ della sua forza di spirito per lottare contro le ingiustizie di questo nostro tempo e ricordarci che Inferno, Purgatorio e Paradiso non sono posti in cui si va, ma già ci sei qui, in base a come vivi”.