Lo schianto terribile, certo, e la musica si infranse, le radio si fulminarono, l’Italia rimase muta. Ore 3.55 della notte del 2 giugno 1981, Roma, via Nomentana. L’acciaio pesante di un camion che arriva da via Carlo Fea trasforma in un proiettile e polverizza la Volvo 343 di Rino Gaetano, l’uomo dai due nomi propri, il fratello del figlio unico, il saltimbanco geniale, l’uomo che ridendo – senza che nessuno se ne accorgesse – aveva cambiato il costume dell’Italia. Tuttavia, nemmeno nella nuvola di quel dramma l’Artista che abitava nascosto dietro il sorriso dell’elfo fu preso sul serio. Era necessario che passassero decenni: non lo avevano ancora capito.
Rino, il cielo e il ritratto
A 40 anni dalla morte, arriva un altro tributo importante: il francobollo a lui dedicato, che fa parte della serie tematica “le Eccellenze dello spettacolo”, con una vignetta che raffigura un suo ritratto con un cielo sullo sfondo, a ricordare una delle sue canzoni più conosciute, “Ma il cielo è sempre più blu”. Se dovete dare una colonna sonora alla lettura di questo pezzo, però, non prendete subito una delle canzoni più note e geniali di Rino. Non partite da quella e nemmeno da “Nuntereggae più”, geniale scioglilingua, neologismo. Se dovete dare una colonna sonora a questo articolo non prendete nemmeno “Gianna”, che fece ballare il costume e la sociologia degli italiani, e portò a spasso il teatrale cilindro di feltro di Rino a Sanremo, nell’anno di grazia 1978.
Autoritratto
Se dovete ricordarlo con le note, andate a cercare questa ballata dolente, e psichedelica “Tu, forse non essenzialmente tu”, una messa da requiem postmoderna aperta con tre squilli di chitarra elettrica vagamente psichedelica che sembrano rubati al repertorio dei Pink Floyd. E poi un testo folgorante, malinconico, asciutto e dritto come una lama, un ritornello perfettamente nonsense alla Rino: “Forse non essenzialmente tu/ E la notte, confidenzialmente blu/ Cercare l’animaaaaa”. Rino era quello: fuori da ogni convenzione. Il calembour che diventa senso, l’autobiografia che diventa verso. Il bozzetto che diventa ritratto: “Io, che ho bisogno di raccontare, io/ la necessità di vivere rimane in me”. O ancora: “E sono ormai convinto da molte lune/ dell’inutilità irreversibile del tempo”.
Gli incontri con Dalla e Micocci
La storia di Rino, come se fosse un film, inizia in un giorno dell’anno 1974, con un ragazzo spiantato con la chitarra al collo che chiede un passaggio, e un cantautore giovane, ma già affermato che lo raccoglie. Per la gioia del destino il cantautore si chiama Lucio, Lucio Dalla, a cui è dedicato un altro francobollo. E il ragazzo con la chitarra si chiama Rino, Rino Gaetano: “Faceva l’autostop – racconterà Dalla – e gli diedi un passaggio per Roma dove andava alla ricerca di un contratto. Mi fece sentire le sue canzoni in anteprima e lo portai da Vincenzo Micocci. Che poi lo lanciò”.
Predestinato
Nulla però è facile come sembra. Perché nella vita di Rino la predestinazione e l’impossibile si sono dati battaglia per un decennio. Non è sicuro di nulla, nemmeno della sua voce, così diversa e poco convenzionale al punto da arrivare ad immaginare un folle stratagemma che fa scoppiare a ridere il suo produttore. “Si considerava un autore – ha raccontato Micocci – non un cantante. Era convinto di non avere un bel timbro, tanto che dopo l’uscita di I Love You Maryanna, quando fu l’ora di incidere il primo album, venne a dirmi: ‘Secondo me sarebbe meglio far cantare le canzoni ad un mio amico’”. Micocci scoppia a ridere e gli grida: “Corri in studio a registrare”.
Le profezie del cantautore
Della notte dello schianto il Corriere della Sera racconterà che in quel giugno del 1981 Rino Gaetano viene soccorso dagli agenti della polizia stradale di Settebagni. “Il cantautore veniva portato in gravi condizioni all’ospedale”. Smetterà di vivere alle sei del mattino. Non posso dedicare molto spazio all’incredibile profezia che lui stesso aveva fatto, anni prima dello schianto, componendo una canzone in cui uno dei suoi personaggi, Renzo, dopo un incidente, veniva respinto da diversi ospedali che non erano in grado di accoglierlo. Quella notte il Messaggero annotò con meticolosa esattezza che l’ambulanza dei Vigili del Fuoco su cui Rino viaggiava aveva chiesto inutilmente ospitalità al Gemelli, al San Filippo Neri, al San Giovanni, al Cto della Garbatella, al San Camillo. Invano. Il Policlinico, l’ultima spiaggia a cui Rino era approdato, non era attrezzato per interventi di neurochirurgia, come ammise candidamente il direttore sanitario dell’ospedale.
L’eredità
Ma profetico Rino era stato anche in un concerto sulla spiaggia di Capocotta in cui aveva gridato dal palco: “C’è qualcuno che vuole mettermi il bavaglio: io non li temo! Non ci riusciranno!”. Poi, come passata l’urgenza dell’emozione, aveva detto: “Sento che, in futuro, le mie canzoni saranno cantate dalle prossime generazioni. Che, grazie alla comunicazione di massa, capiranno cosa voglio dire questa sera. Capiranno e apriranno gli occhi – aveva concluso – anziché averli pieni di sale”. Era il 1979, e non c’è da aggiungere nulla.
Un geniale menestrello
Come sarebbe oggi Rino Gaetano se non ci fossero stati la debolezza fatale del bere, un camion Fiat 360 come un carrarmato contro una Volvo che sbanda sulla Nomentana, la profezia di Renzo, e le porte chiuse della malasanità che Rino aveva già raccontato, prima di trovarsele davanti? È un corpo distrutto, quello che la notte di Roma si ingoia, 2 giugno 1981, mentre la sua musica ride nei magnetofoni. Ma è anche questo calvario che rende immortale per sempre l’icona del menestrello che arriva a Sanremo in tuba, frac, scarpe da tennis, maglia da marinaio e ukulele, che su quel palco di Sanremo qualcuno scambia per geniale meteora. E che invece incide il suo nome nella storia della musica leggera perché ha avuto la grandezza di reinventare l’Italia. Non solo quella che aveva intorno, che sarebbe stato già difficile. Ma quella – e questo era quasi impossibile – che sarebbe venuta poi, e che abitiamo noi oggi. Mentre il cielo è sempre più blu.