Federico Fubini, vicedirettore ad personam del Corriere della Sera è autore, con la collega Simona Ravizza, di un’inchiesta sul disagio dei nostri figli dopo un anno di chiusure e di lontananza da aule scolastiche e amici.
Direttore, il Corriere della Sera è entrato nei reparti di neuropsichiatria infantile. Che cosa è emerso per Federico Fubini?
“Premetto che questa inchiesta è nata dalle segnalazioni che ho ricevuto da terapeuti e psicologi dell’età dello sviluppo, che hanno registrato un aumento dei segni di malessere tra i ragazzi. Gli aspetti che sono emersi sono principalmente due: il primo riguarda il distacco emotivo dall’ambiente esterno e il disinvestimento dalle relazioni con gli amici e i compagni di scuola; il secondo l’inadeguatezza delle strutture ricettive sanitarie dedicate ai problemi psicologici dei ragazzi con un numero ristretto di letti che non permette di rispondere al bisogno di ricoveri”.
Secondo Federico Fubini, quando ha cominciato ad aggravarsi il quadro?
“Quello che è successo con la pandemia si innesta in una situazione già fragile. Prima dell’arrivo del coronavirus, secondo la Società italiana di neuropsichiatria dell’infanzia e dell’adolescenza, 200 ragazzi su mille presentavano un disturbo neuropsichico, vale a dire 2 milioni di minorenni, tra bambini e adolescenti. Di questi solo il 30% riusciva ad accedere a un servizio e solo il 15% riusciva ad avere delle risposte. Inoltre, con la pandemia c’è stata una diminuzione degli accessi al pronto soccorso pediatrico e un aumento relativo per atti di autolesionismo. Tutto questo si sta traducendo in un’emergenza”.
Vi siete occupati dell’aumento di situazioni patologiche diagnosticate. Ma la fotografia scattata dal Corriere della Sera riguarda tutta la platea dei minori. Qual è lo stato dei nostri figli?
“I fenomeni patologici diffusi possono essere la spia di un malessere più ampio nella società. Bisogna aggiungere che gli adolescenti hanno reagito in modo differente a seconda del sesso: i ragazzi con il disinvestimento sulle relazioni, le ragazze con la preoccupazione per il loro aspetto, la loro immagine riflessa sui vari device che hanno utilizzato per la didattica a distanza o per restare in contatto con gli amici”.
Stiamo cominciando a parlare di ritorno alla normalità. Questa “normalità” di cui si parla quali contorni avrà per un adolescente che è stato chiuso in casa un anno-un anno e mezzo solo con il proprio nucleo familiare?
“Sicuramente i genitori hanno un ruolo molto importante. Occorre cercare, ognuno come può, di dare un indirizzo ai ragazzi. Oltre alla scuola, i genitori restano la figura di riferimento centrale: non tutti i genitori hanno le stesse opportunità, alcuni sono molto impegnati dal lavoro, altri invece sono alle prese con problemi economici o con la disoccupazione. Ma è sicuramente importante mantenere l’attenzione e il senso di responsabilità nei confronti dei figli”.
La pandemia è un’occasione per ricostruire il mondo della scuola?
“Da cittadino e da genitore, mi piacerebbe vedere concretezza su questo punto: vorrei vedere entrare nelle scuole dirigenti e insegnanti qualificati e, allo stesso modo, che ci fosse un limite sulla loro mobilità. Non è pensabile che il compenso di un insegnante consenta lo stesso tenore di vita in una provincia rurale del Sud o nel centro di Milano. Chi non può permettersi uno spostamento chiederà sempre di tornare indietro e questo rende il quadro particolarmente instabile. Inoltre, metterei la scuola dell’obbligo a partire dai 3 anni e fino ai 18, aggiungendo l’obbligo dal primo anno di vita in tutti i territori svantaggiati del Paese. È ormai universalmente riconosciuto che l’istruzione è particolarmente efficace nei primi anni di vita”. (Leggi qui le altre interviste di Postenews)