“Diavolo di un cardinale, che bisogno ha dei miei consigli?”. Suona proprio così, infatti, l’interrogativo che la giornalista Silvia Giacomoni rivolge a se stessa nella lettera numero 20 del suo epistolario con Carlo Maria Martini, arcivescovo per un ventennio a Milano. Esprime così la sorpresa incredula che un cardinale tanto famoso si riveli aperto ai buoni consigli di una giornalista per di più laica. Quanto di più lontano e diverso dal diavolo le appare questo cardinale gesuita, mite e celebre biblista. Suggerisce pensieri liberi dagli schemi ingessati di una tradizione formalistica. Il carteggio è pubblicato da Bompiani, proprio con il titolo inaspettato Diavolo d’un cardinale.
Il confronto tra Giacomoni e Martini
Le 102 lettere tra Giacomoni e Martini sono un’icona riuscita del rapporto fecondo tra una visione laica e una visione cristiana della vita. Due interlocutori, dispari ai nastri di partenza, nel dialogo spirituale scaturito dal fascino della ricerca biblica, pervengono a un traguardo condiviso. La mente si apre a una “vita activa” che traduce in doveri quotidiani di cura verso gli altri le grandi visioni ideali. Lo stile personale delle lettere rende la progressiva fiducia tra i due autori liberati da ogni artificio. “Gent.ma Silvia Giacomoni” – è l’incipit consueto del cardinale che solo dopo il suo ritiro dal governo della diocesi si spinge, di rado, a iniziare con un “Carissima Silvia” a cui tuttavia segue sempre il “lei”. Più spigliata la giornalista, con lettere ravvicinate e incalzanti. Parte con Eccellenza, passa a Eminenza, ma presto volge al “Caro cardinale Martini” e, infine, al “Caro padre Martini”.
“Si legge in un amen”
Le formule di saluto di Silvia sono fantasiose, tipiche di una donna attenta, rispettosa, capace di lieve tocco che tiene insieme premura e affetto. Il cammino è stato lungo, ma per l’intesa basta, infine, addirittura una riga. Nel 2012, anno della morte del cardinale già gravemente malato, la giornalista gli scrive: “Ecco una paginetta deliziosa. Si legge in un amen”. E il cardinale le risponde il 20 marzo: “Un amen può essere tale per me”. Morirà il 31 agosto successivo. Uno scorcio del cammino spirituale percorso insieme sino alla cordialità, s’intravede nelle lettere pasquali del 1995. “Temo – scrive la Giacomoni – di essere arrivata all’intoppo che vizia la vita dei convertiti…Mi gratifica scoprire che tante persone del mio vecchio mondo percepiscono in modo positivo la svolta della mia vita e in qualche modo ne profittano. Eppure seguito a soffrire della competitività, dei tradimenti, della limitatezza d’orizzonti del mio mondo, al punto che mi sottraggo a tanti appuntamenti, che non riesco più a ritenere né piacevoli né doverosi…Scopro in me le radici del bigottismo. So che il moralismo viene da una incapacità di vedere con chiarezza se stessi e i propri limiti. Forse io li vedo anche troppo bene. All’inizio ero felice di portare anche alle sfilate di moda la mia nuova consapevolezza. Sentivo che tutto poteva essere sacrificato. Ora fatico. C’è un groviglio di superbia e di indegnità che non riesco a sciogliere…Con fiducia, gratitudine e affetto”.
L’umanità
Martini risponde a Giacomoni riferendosi, tra l’altro, a un articolo su di lui scritto dalla giornalista. “Mi confonde, perché esprime bene ciò che mi piacerebbe fare o come mi piacerebbe parlare, non ciò che sento di riuscire a dire. Ciò che dico di fatto mi mette spesso a disagio per quella che mi sembra la banalità delle cose da me dette e la “distanza” da ciò che andrebbe detto. Mi ha particolarmente colpito la frase: “Potete essere razionali, intelligenti, privi di pregiudizi, alla ricerca della verità”. Sì mi ci riconosco, ma come anelito e tormento. Quante tonnellate di pensiero mitico e di pregiudizi ancestrali gravano su di noi! Bisogna forse uscire come un gatto da sotto il pagliaio. Vera anche l‘osservazione che fare gli esercizi spirituali è per me come un’analisi vissuta di fronte agli altri. È in quei giorni che cerco di elaborare vissuti sofferti, di liberarmi da macigni o anche solo da sassolini nelle scarpe. Sempre più sento che mi servono tempi lunghi e gratuiti di preghiera silenziosa”. Prima della santità, anche per un ecclesiastico illustre, viene l’umanità su cui costruirla. Prima della santità, è l’umanità del cardinale a colpire la giornalista.