Guru della consulenza aziendale, director emeritus di McKinsey e saggista, Roger Abravanel ha risposto alle domande di Postenews sul mondo post-pandemia e sulle imprese. Lo studioso è tra i protagonisti del festival “Maestri Fuori Classe – Attraversamenti”, in programma fino al 16 luglio a Vasto, in provincia di Chieti.
Professor Abravanel, come si selezionano le competenze? quali sono i fattori comuni che deve avere un manager con una vision ben definita?
“Più che di manager si parla di leader, che invece di ‘gestire-amministrare’, guidano le persone. Le competenze non sono solo quelle ‘hard’ (finanza, digitale) ma anche quelle soft (team building, saper ascoltare, risolvere problemi pratici). Il Covid ha però aumentato l’esigenza di talento ed eccellenza, perché accelera l’economia della conoscenza. Nel mio saggio ‘Aristocrazia 2.0, la nuova élite per salvare il Paese’ ho spiegato come aumenterà il gap tra i winner e i loser nella guerra per i talenti. La meritocrazia intesa come capacità di una impresa di selezionare e valorizzare i migliori diventerà cruciale”.
Quanto è importante che le grandi aziende si dotino di un sistema di valutazione delle performance dei manager e quali devono essere le kpi da tenere in massima considerazione?
“Ovviamente nessuno dirà che non è importante, ma bisogna capire perché. La meritocrazia è competizione e la competizione e anche valutazione. Il post-Covid lo renderà ancora più importante. Ma non sarà facile e richiede che si cominci dai vertici, dagli azionisti e dai consigli di amministrazione”.
Da cosa passa la ripresa dell’Italia? Le sembra che il Pnrr possa davvero essere un treno unico per il nostro Paese?
“Il Pnrr è fatto molto bene e contribuirà a Pil e occupazione, ma non porterà quella trasformazione della economia e della società necessaria che ho raccontato nel mio ultimo saggio, perché si tratta di investimenti pubblici. La nostra ripresa richiede un nuovo paradigma economico fatto di imprese private che vogliono diventare grandi, l’emergere di qualche università di eccellenza e il ridimensionamento del potere giuridico nel nostro Paese”.
Aziende come Poste italiane stanno trainando la digitalizzazione del paese, facendo leva sul proprio know how digitale e sulla loro presenza fisica. Questo doppio binario è un elemento essenziale per uno sviluppo inclusivo?
“Nel mio saggio spiego che il capitalismo di Stato/ex di Stato ha battuto quello familiare in Italia, che alla fine si è rivelato più familista che familiare. Poste è una delle imprese prodotte da questo capitalismo orientato alla meritocrazia, ma il post-Covid creerà nuove sfide anche per queste ottime imprese. La vera sfida di Poste sarà utilizzare il digitale per rendersi ancora più efficiente e migliorare il rapporto con il cliente. Durante il lockdown le imprese hanno fatto in pochi mesi più passi avanti che negli ultimi 20 anni e si sono rese conto che sfruttano il digitale al 20% del suo potenziale”.
Sarà uno dei protagonisti del festival “Maestri Fuori Classe – Attraversamenti”: su cosa verte il suo intervento? A che punto siamo con la formazione continua in Italia?
“Parlo appunto del mio saggio ‘Aristocrazia 2.0’. Quanto alla formazione, io credo che gli italiani, soprattutto i più giovani devono capire meglio le sfide del post-Covid e l’importanza della meritocrazia per affrontare le enormi sfide che il Paese fronteggerà e per capire a fondo il tipo di formazione che sarà necessaria nella economia della conoscenza. Purtroppo, oggi circolano delle idee profondamente sbagliate su questi temi e sui problemi del Paese. Spero di dare piccolo contributo di chiarimento”.
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