Giancarlo De Sisti è uno dei calciatori azzurri che ha alzato al cielo di Roma la Coppa di campione d’Europa, il 10 giugno 1968. Quel giorno la Nazionale di Ferruccio Valcareggi trionfava all’Olimpico nella gara di spareggio contro la Jugoslavia, battuta per 2-0 con le reti di Riva e Anastasi. Un successo bissato dai ragazzi di Roberto Mancini a Wembley, dopo un “digiuno” durato più di 50 anni: oggi quella coppa si trova per due giorni nella sede di Poste Italiane. È proprio l’ex talentuoso centrocampista di Roma e Fiorentina, nonché titolare azzurro in quella mitica finale del ’68, a raccontarci le emozioni di quella notte magica, con l’indimenticabile fiaccolata dei tifosi sugli spalti per festeggiare la vittoria.
Giancarlo, lei che ha avuto l’onore di provarlo: cosa vuol dire alzare al cielo la coppa di campione d’Europa?
“Io avevo giocato tante partite con la Roma in Europa, togliendomi grandi soddisfazioni. Ma l’onore e l’emozione che si prova, quando alzi la coppa di campione d’Europa con la Nazionale, è un qualcosa di incredibile. Sono orgoglioso di essere stato tra i protagonisti di quell’evento”.
Possiamo creare delle similitudini fra quel successo e quello ottenuto dalla Nazionale di Roberto Mancini?
“Senza dubbio esistono delle precise analogie. Noi, come i fantastici ragazzi di Mancini, abbiamo avuto il merito di ricompattare l’Italia, intesa come Paese. Oggi come allora, tutti si sono immedesimati nel trionfo: a livello politico, sociale, economico e artistico. E poi, sul piano sportivo, nel 1968 eravamo reduci dalla disfatta contro la Corea. Gli Azzurri che hanno trionfato a Wembley erano invece reduci dall’onta della mancata partecipazione ai Mondiali in Russia. Due successi che hanno rilanciato alla grande il calcio italiano”.
Che ricordi ha di quel trionfo del ’68?
“Devo ringraziare mio padre che mi ha lasciato in regalo 80 volumi di quotidiani dell’epoca, in cui si parlava di me e delle mie prestazioni in quell’Europeo vinto. Delle testimonianze che ancor oggi rileggo e mi emoziono come se le avessi lette per la prima volta”.
Cosa vuol dire per lei aver vestito la maglia azzurra?
“Con gli Azzurri ho collezionato 29 presenze e 4 reti. Ogni volta che in campo ascoltavo l’inno di Mameli, disciplinatamente sull’attenti, è come se mi sentissi un difensore, un baluardo del nostro Paese. E vorrei dire grazie ai ragazzi di Mancini: con la loro vittoria sono tornati, come avevamo fatto noi 53 anni prima, a scaldare i cuori degli italiani, unendoci idealmente in un abbraccio collettivo”.
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