Le imprese che operano all’interno di filiere sono più innovative, più aperte ai mercati stranieri e più ottimiste sul futuro di quelle che lavorano in maniera isolata. Il 41% di queste imprese prevede di recuperare i livelli produttivi pre-COVID già entro quest’anno, contro il 36% delle altre aziende.
Le 17 filiere italiane
Una quota che sale al 45% per le imprese in filiera che hanno investito nelle tecnologie 4.0 contro il 35% delle altre digitalizzate. Innovazione e export sono tra le leve strategiche su cui puntano per stare sul mercato. Il 62% delle imprese che lavorano insieme ha fatto investimenti per innovare (contro il 38% delle altre) e il 22% esporta, con punte che arrivano al 30% nelle filiere 4.0 (contro il 24% delle altre digitalizzate). La collaborazione tra imprese che hanno attività interconnesse lungo tutta la catena del valore – dalla creazione sino alla distribuzione- di un bene o servizio – si rileva quindi un importante fattore di competitività per gli imprenditori, soprattutto se abbracciano il digitale avanzato. È quanto emerge da un’analisi realizzata dal Centro Studi Tagliacarne su dati Unioncamere/InfoCamere sulle 17 filiere individuate dal Ministero dello sviluppo economico. Un universo che conta oltre 3,8 milioni di imprese attive – il 75% del sistema imprenditoriale italiano-, occupa più di 12 milioni addetti (71,4% del totale economia extra-agricola) e genera 2.500 miliardi di euro di fatturato (78,9% del totale industria e servizi).
Divisioni regionali
Costruzioni e agrobusiness rappresentano quasi il 60% delle imprese attive coinvolte nel sistema delle filiere (rispettivamente il 29,1% e il 28,8%). Ma il loro peso percentuale scende intorno al 30% se si considerano i dati occupazionali (costruzioni: 18,8%; agrobusiness: 12,6%) e di fatturato (agrobusiness: 17,4%; costruzioni: 11,8%). Ampliando l’analisi alle altre attività si distinguono per numero di addetti: la sanità 9,8%, il turismo-beni culturali 8,7% e sistema moda 8,3%. Mentre per fatturato spiccano le filiere dell’energia 11,2%, dei mezzi di trasporto 9,8% e, ancora, del sistema moda 7,0%. È la Lombardia con oltre 580mila imprese attive (15% del totale nazionale) a svettare in cima alla classifica italiana delle imprese che operano in filiera. Seguono la Campania (9,4%) e il Lazio (9,2%). Ma se si guarda all’incidenza delle filiere sul tessuto produttivo di ciascuna regione la prospettiva cambia. A conquistare le prime posizioni di questa speciale graduatoria sono: Bolzano (con l’83,8% delle imprese in filiera sul totale locale), Basilicata (81,1%) e Molise (80,8%). Le imprese che operano all’interno delle filiere presentano una maggiore propensione ad innovare rispetto alle altre non operanti in filiera, il 62% contro il 38%. E per competere puntano soprattutto sull’innovazione di prodotto (il 46% contro il 25%) e di processo (il 39% contro il 24%).
Per chi innova
Anche tra le imprese che adottano tecnologie 4.0 pesa l’effetto filiera: il 74% delle imprese che collaborano tra loro ha investito in almeno una forma di innovazione (tra quelle di prodotto, processo, organizzativa, marketing) contro il 67% di quelle non filiera. E questa diversa sensibilità ad innovare mostra un differenziale che arriva fino a 17 punti percentuali per quanto riguarda l’innovazione di prodotto.
I benefici del lavorare in filiera si fanno sentire anche sulla maggiore apertura ai mercati stranieri, in particolare per quelle imprese che adottano le tecnologie abilitanti. Il 30% del fatturato delle filiere 4.0 è alimentato dalle vendite estere, contro il 24% di quello delle altre imprese digitalizzate non in filiera. Non solo, le prime esportano anche mediamente in più mercati rispetto alle seconde (24 contro 19). Non a caso nel PNRR si riserva attenzione al tema delle filiere leggendolo sotto la lente dell’internazionalizzazione proprio sotto l’asse strategico della Transizione digitale.