La donna che ha saputo trasportare il cielo in terra. Così papa Francesco ha definito questa donna coraggiosa, capace, innamoratissima di Dio e del prossimo, passata in mezzo a tante difficoltà, delusioni, illusioni prima di farsi monaca e rinnovare la vita carmelitana. Lei è Teresa d’Avila (1514-1582), la prima donna della storia proclamata Dottore della Chiesa per la profondità spirituale dei suoi scritti.
Nel “Castello interiore”
È celebre l’immagine del “Castello interiore”, opera sua regina; non meno significative sono le sue Lettere. Tante, più delle 476 a noi pervenute e indirizzate ai destinatari più diversi, umili e potenti, religiosi e laici. Scritte di suo pugno o dettate alle segretarie. Missive dai contenuti più vari: amicizia, spiritualità, questioni economiche e pratiche da risolvere. Questa santa è conosciuta come “Teresa la Grande” e illustri studiosi approfondiscono ancora le sue opere. Non è nata santa. Nella sua Autobiografia ricorda che da giovane aveva questo proposito: “Voglio andare a vedere Dio”, ma poi le piacevano le apparenze terrene: “Cominciai a vestirmi con ricercatezza e a desiderare di comparire – si legge nella sua Vita -. Avevo somma cura delle mani e dei capelli. Usavo profumi e ogni altra possibile vanità: tutte cose che, essendo io molto raffinata, non mi bastavano mai”.
Il dardo del Bernini
Nella chiesa romana di santa Maria della Vittoria, il Bernini ha lasciato una scultura mitica dell’esperienza trasformatrice dell’amore di Dio nel cuore umano di Teresa d’Avila. L’estasi di santa Teresa è allo stesso tempo esaltante e problematica poiché questi stati interiori mistici quando si manifestavano erano tanto sconvolgenti da far dubitare si trattasse di visioni diaboliche. Lo racconta Teresa, lei stessa dubbiosa e incredula di fenomeni simili a turbine che rapivano il suo animo. Gian Lorenzo Bernini ha reso con impressionante maestria il “dardo fiammeggiante” che l’Angelo conficcò nel cuore di Teresa.
La visione dell’angelo
“…In questa visione – raccontò lei stessa – piacque al Signore che io vedessi un angelo: non era grande, ma piccolo e molto bello, con il volto così acceso da sembrare uno degli angeli molto elevati in gerarchia che pare brucino tutti in ardore divino… Gli vedevo nelle mani un lungo dardo d’oro, che sulla punta di ferro mi sembrava avesse un po’ di fuoco. Pareva che me lo configgesse a più riprese nel cuore, così profondamente che mi giungeva fino alle viscere, e quando lo estraeva sembrava portarselo via, lasciandomi tutta infiammata di grande amore di Dio. Il dolore della ferita era così vivo che mi faceva emettere quei gemiti di cui ho parlato, ma era così grande la dolcezza che mi infondeva questo enorme dolore, che non c’era da desiderarne la fine, né l’anima poteva appagarsi d’altro che di Dio. Non è un dolore fisico, ma spirituale, anche se il corpo non tralascia di parteciparvi un po’, anzi molto…”.
Il giudizio dell’amore
È illuminante cogliere il senso della vita di Teresa d’Avila riassunto nell’estasi trasfigurata dal Bernini. “Alla fine della vita saremo giudicati sull’amore” scrisse san Giovanni della Croce, un altro mistico riformatore del Carmelo maschile dopo la lunga frequentazione di Teresa di Gesù. Questa donna eccezionale si convinse che “Solo Dio basta” per una vita felice. Le sue Lettere documentano che fu una donna di relazione, animata dall’amore di Dio e del prossimo anche dentro la gestione complicata richiesta dalla rifondazione del Carmelo.
Scrivere è sacro
Nelle Lettere emerge l’umanità di Teresa, la sua capacità di governo e di visione nel risolvere i problemi concreti dell’esistenza. Specchio del vivere di essenziale è l’epistola scritta pochi mesi prima di morire al suo direttore spirituale. Un vero bilancio di vita dove Teresa guarda con animo pacificato i doni mistici sperimentati. Non come obiettivo finale ma come esperienze valide nella misura di crescere nell’amore di Dio senza vanità. “Le visioni immaginarie – osserva la lettera – sono cessate. Però mi pare di avere sempre innanzi la visione intellettuale delle Tre divine Persone e dell’umanità di nostro Signore: grazia che mi pare assai più grande… Non amo che Dio: in questo non ho rallentamenti, bensì progressi”. Perché meravigliarsi del suo naturale scrivere: “Per chi serve Dio mi pare che morire debba essere facilissimo”? Per Teresa lo scrivere lettere, è “faticoso ma sacro, importante”.