Fabio Tamburini, direttore del Sole 24 Ore, come sta cambiando il Paese e come stanno cambiando le sue dinamiche sociali tra emergenza sanitaria, vaccini e PNRR?
“Un anno fa l’Italia era un Paese privo di un piano vaccinale, in ritardo clamoroso rispetto alle altre nazioni europee, arrancava e stentava a garantire ciò che era necessario per la vita di ciascuno di noi e per l’economia. Un anno dopo tutto è cambiato, i risultati sono stati eclatanti e oggi l’Italia è in testa alle classifiche mondiali per quanto riguarda la percentuale di vaccinati. Questo ha avuto due effetti importanti, sulla vita di ciascuno di noi e sull’andamento dell’economia, con il Pil in crescita del 6% e prospettive di un ulteriore incremento, almeno così spero”.
Come ha affrontato la ripartenza il vostro giornale? Che tipo di investimenti sono stati fatti o sono in programma per potenziare il digitale e proporre un’esperienza giornalistica di qualità e sempre più interattiva?
“La pandemia è stata ed è una tragedia planetaria, ma per quanto riguarda il Gruppo Sole 24 Ore, l’andamento editoriale ci ha dato la conferma che chi vuole un’informazione attendibile, anche dal punto di vista scientifico, deve rivolgersi a media che “ci mettono la faccia”. A cominciare dalla testata, che ci mette la sua autorevolezza, e dal giornalista, che ci mette la sua credibilità. Il comun denominatore si chiama responsabilità, ed è un po’ il contrario di ciò che caratterizza il variegato mondo dei social. È dunque particolarmente significativo – e positivo – il fatto che durante la pandemia la domanda di informazione si sia indirizzata verso i marchi giornalistici più credibili. Un fenomeno che ha consentito al Gruppo Sole 24 Ore di raggiungere risultati interessanti. Per quanto riguarda il futuro, tre anni fa – quando oltre a me si insediò anche il nuovo amministratore Giuseppe Cerbone – annunciammo che la priorità sarebbe stato il digitale. Così è stato. Con questo orizzonte abbiamo riorganizzato tutta la presenza editoriale del Gruppo, senza ovviamente dimenticare il prodotto cartaceo che è e rimarrà la nostra bandiera e il cardine attorno a cui ruotano tutte le iniziative. È coerente con questo disegno il varo, nel marzo scorso, del nostro nuovo formato, che ha avuto un grande successo”.
Quale spazio si è ritagliato Il Sole nel panorama editoriale?
“Il Sole 24 Ore ha come missione quella di raccontare l’economia e la finanza, la parte normativa e anche la politica quando serve a capire i fatti dell’economia. Questo è ciò che ci distingue dagli altri giornali. E credo che i risultati stiano premiando questa diversità”.
Da un punto di vista economico e sociale, come giudica l’apporto dato delle grandi aziende e dei grandi gruppi industriali allo sviluppo del Paese?
“Purtroppo, negli ultimi vent’anni, i grandi gruppi industriali in Italia sono stati decimati, sia nella sfera pubblica che in quella privata. È stato un duro colpo per il sistema Paese, perché – pur avendo la sua spina dorsale nella piccola e media impresa – l’industria italiana riceve dai grandi gruppi e dalla loro massa critica la spinta decisiva in termini di ricerca e innovazione”.
Dopo l’inizio della pandemia, Poste Italiane è stata al fianco del Governo soprattutto nella campagna vaccinale. Come giudica la strategia sociale che il Gruppo ha attuato, mettendo il proprio know how e la propria capillarità al servizio dei cittadini?
“Credo che le persone di Poste abbiano svolto un ottimo lavoro. Hanno fatto bene a scegliere una politica di basso profilo, il che non ha impedito di vedere quanto sia stato importante il loro contributo al successo della campagna vaccinale. Faccio solo l’esempio del sito internet che in Lombardia avrebbe dovuto far incontrare la domanda e l’offerta di vaccini. All’inizio è stato un autentico disastro e solo il successivo intervento di Poste Italiane ha consentito di trasformarlo in uno snodo efficiente”.
È il momento per attuare una seria transizione energetica per le grandi aziende italiane. Come giudica il loro atteggiamento, è davvero cambiato qualcosa nella percezione del problema e nelle politiche di sostenibilità dei grandi gruppi?
“Penso di sì, penso che siano stati fatti molti passi avanti. Quando il mio gruppo editoriale e in particolare l’agenzia Radiocor nel 2019 lanciarono un notiziario specializzato sulla sostenibilità, eravamo una voce isolata. Adesso la sostenibilità è diventata una parola d’ordine molto diffusa. Va benissimo, speriamo solo che non si trasformi in una moda e che se ne discuta con realismo. La transizione ecologica richiede importanti investimenti, questi hanno un costo e bisogna capire chi alla fine lo pagherà. Spero che non paghi Pantalone”.
La decarbonizzazione, l’ampio utilizzo di energie rinnovabili e l’efficientamento di immobili e flotta: per Poste la sostenibilità è l’obiettivo primario, come dimostrato dal nuovo piano strategico “2024 Sustain & Innovate”. Il Gruppo Poste può dimostrarsi un valido alleato del Paese anche nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo sostenibile?
“Anche per Poste c’è un’opportunità straordinaria. Fino a non molto tempo fa spedizioni e pacchi erano un business fortemente deficitario, adesso anche in questo settore è cambiato il mondo. È chiaro che Poste può giocare un ruolo di primo piano nello sviluppo sostenibile del nostro sistema”.