La lettera di addio di Pietro Carmina agli studenti scritta nel suo ultimo giorno di scuola meriterebbe di essere scolpita, più che nella pietra, nell’agenda politica italiana responsabile di mantenere la scuola incompiuta e frammentaria. A tirarla fuori dall’oblio ha provveduto il Presidente Mattarella citandola nel messaggio di fine anno agli italiani, l’ultimo del suo mandato. Forse perché il professore era rimasto sotto le macerie con altre nove vittime nell’esplosione prenatalizia a Ravanusa. Di questa lettera non lunga, ma efficace e suggestiva, Mattarella ha citato un passaggio che chiede ai ragazzi di farsi artefici della propria fortuna e di una società meno egoista. “Ai miei ragazzi, di ieri e di oggi”. Sono essi i destinatari della Lettera. In forma non polemica ribadisce un cardine per la riuscita della scuola: va pensata non per scolari estranei o affogata nella burocrazia, ma pur tra mille difficoltà realizzata dal cuore che supplisce e rende la didattica un percorso dialogico, quasi familiare tra alunno e docente.
La voglia di lottare
Nella scuola italiana relegata ai margini dei servizi sociali, di bello è rimasto proprio questo filo rosso che la salva dall’affogare tra difficoltà di ogni genere. Sono quei tanti maestri e professori che vivono l’insegnamento come una missione e non si contentano di trasmettere un minimo nozionismo. Vivono la scuola come dialogo educativo, orientati quindi al futuro dei ragazzi. Donne e uomini supplenti dell’arte genitoriale o genitori aggiunti che vivono il rapporto con gli studenti come una priorità per cui spendersi. “Ho appena chiuso il registro di classe – scrive Pietro Carmina -. Per l’ultima volta. In attesa che la campanella liberatoria li faccia sciamare verso le vacanze, mi ritrovo a guardare i ragazzi che ho davanti. E, come in un fantasioso caleidoscopio, dietro i loro volti ne scorgo altri, tantissimi, centinaia, tutti quelli che ho incrociato in questi ultimi miei 43 anni. Vorrei che sapeste che una delle mie felicità consiste nel sentirmi ricordato. Ma una delle mie gioie è sapervi affermati nella vita; una delle mie soddisfazioni la coscienza e la consapevolezza di avere tentato di insegnarvi che la vita non è un gratta e vinci: la vita si abbranca, si azzanna, si conquista. Ho imparato qualcosa da ciascuno di voi, e da tutti la gioia di vivere, la vitalità, il dinamismo, l’entusiasmo, la voglia di lottare”.
Protagonisti della storia
E poi l’affondo, guardando il futuro: “Usate le parole che vi ho insegnato per difendervi e per difendere chi quelle parole non le ha. Non siate spettatori ma protagonisti della storia che vivete oggi: infilatevi dentro, sporcatevi le mani, mordetela la vita, non “adattatevi”, impegnatevi, non rinunciate mai a perseguire le vostre mete, anche le più ambiziose, caricatevi sulle spalle chi non ce la fa: voi non siete il futuro, siete il presente. Il pullman è arrivato. Io mi fermo qui. A voi, buon viaggio”. È un quasi testamento che riassume il cuore di ciò che dovrebbe essere l’istituzione scuola che vive e si modifica per i ragazzi anziché un Moloch per cui siano i ragazzi a vivere. C’è molto sentimento nella Lettera di Pietro Carmina, ma anche l’essenziale educativo. Quanto ai contenuti, al metodo, alla normativa, all’edilizia, alla strumentazione, alla semplificazione dell’accesso alla scuola per le famiglie e per i docenti, ci si trova non all’anno zero di una rivoluzione necessaria, ma davanti al rischio reale d’implosione di un sistema che fatica a cambiare, crea problema a tutti anziché risolverli.
L’astuzia del Gattopardo
Si pensi al rituale di inizio e di fine anno scolastico quando ogni istituto scolastico diventa simile a un immenso alveare nazionale dove le api si muovono freneticamente e sognano la semplificazione della scuola vissuta come fatica piuttosto che come serena possibilità gradita e attesa. Finora la politica non è riuscita a tradurre in legislazione efficace e moderna il grande patrimonio pedagogico della tradizione italiana. C’è da chiedersi se si voglia farlo o se nella scuola bisogna subire ancora per lungo tempo l’astuzia del Gattopardo di fare qualche cambiamento perché tutto resti come prima.