Massimo Giannini dirige La Stampa, ed è anche un volto noto al grande pubblico della televisione. Ha accettato di buon grado le domande di Postenews sull’anno appena iniziato.
Direttore, la parola del 2022 sarà “transizione”: energetica, ecologica, digitale. Si annuncia l’avvio di grandi trasformazioni del nostro modo di vivere e di produrre. Siamo pronti ad affrontare questa sfida? E che ruolo potranno avere grandi player come Poste Italiane?
“è la grande occasione che non possiamo perdere. Il Covid ci lascia una devastazione delle nostre istituzioni materiali e morali, però ha generato anche uno scatto formidabile, altrimenti impossibile. Per la prima volta l’Europa attraverso il Next Generation Eu è riuscita a mettere in comune una quota di debito pubblico, cosa che non era mai accaduta in passato. Questo è un treno che passa una vota e non ripasserà più. Perciò dobbiamo attrezzarci. La grande occasione del Recovery Plan incrocia due realtà: una è politica, l’altra è industriale. Su quella politica, grazie anche al governo Draghi nelle ultime settimane dell’anno scorso abbiamo avuto una buona accelerazione nella messa a terra del Pnrr. I target fissati per la fine del 2021 sono stati tutti raggiunti sia sul fronte della transizione ambientale sia sul fronte di quella digitale. L’altro ambito è quello industriale e ovviamente comprende anche una realtà come Poste coinvolta nella doppia transizione. Per quanto riguarda proprio Poste, le condizioni per sfruttare al meglio le nuove opportunità ci sono tutte, per la banalissima ragione che l’azienda era già da tempo impegnata a sviluppare ciò che serve per mettere in rete i servizi, Non ha dovuto aspettare il Recovery Plan. Adesso potrà anche contare su una infrastruttura tecnologica che proprio grazie ai fondi del Pnrr sarà via via potenziata e resa più efficiente. Quindi sì, direi che sia sul fronte politico che su quello delle aziende l’Italia si presenta agli appuntamenti del 2022 con le carte in regola. Speriamo soltanto che le vicende politiche che nei primi due mesi dell’anno si faranno piuttosto complesse non frenino un processo che invece deve accelerare ulteriormente”.
La crisi del Covid ha spinto l’Europa a riscoprire il valore della solidarietà e a condividere un debito per rimettersi in piedi. Dalla crisi può uscire migliore anche l’Italia? E a che condizioni?
“Che la crisi e il Covid abbiano costituito insieme una immane tragedia e una straordinaria opportunità lo abbiamo visto e detto. Senza il Covid probabilmente l’Europa non avrebbe avuto quel sussulto di responsabilità che ha prodotto Next Generation Ue. Lo stesso spirito di coesione si è visto anche in Italia. La solidarietà è un valore che in Europa abbiamo visto e apprezzato quando il Covid ha colpito più duramente, nella prima e nella seconda ondata. Successivamente, superato il momento più drammatico, sono entrati in campo gli interessi politico-economici dei singoli Stati. C’è stata, per esempio, una crisi nel rapporto con i Paesi del gruppo di Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca e Slovacchia, ndr) per la questione dell’emergenza migranti ma non solo. Quando gli interessi dei singoli cominciano a emergere anche nell’attuazione di un piano che – come il Recovery – nasce con uno spirito solidaristico è chiaro che le verdi vallate diventano meno verdi. Tornando all’Italia, va detto e ripetuto mille volte che noi siamo solo all’inizio di un percorso, non abbiamo ancora fatto praticamente nulla di materialmente ed economicamente visibile, stiamo gettando le basi per mettere a frutto un piano di aiuti europei che non ha precedenti nella nostra storia ma, ripeto, siamo davvero solo agli inizi. Il grosso è ancora tutto da fare. Anche i target che abbiamo raggiunto entro la fine del 2021 sono solo la fase iniziale. Non so se i cittadini ne abbiano contezza. Soprattutto la politica deve essere consapevole che siamo all’inizio di un percorso lungo e complesso. Serviranno responsabilità, consapevolezza e dedizione per far sì che non si finisca fuori strada. Questo governo ha avuto il merito di avviare la messa a terra del Pnrr, poi vedremo cosa succederà da febbraio in poi: se ci sarà ancora l’attuale governo, se ci sarà lo stesso presidente del Consiglio. In ogni caso, anche laddove questo non accadesse, la transizione ecologica e quella digitale dovranno procedere a passi spediti. Occorre sapere che, come ha spiegato il ministro Cingolani, i costi della transizione rischiano di essere pesantissimi sia per le imprese che per i consumatori. Un quadro che rischia di aggravarsi se proseguirà l’impennata del costo delle materie prime, e se non si terrà sotto controllo l’inflazione. Insomma, le incognite sono ancora molte”.
Poste Italiane ha avuto e ha un ruolo importante nello svolgimento della campagna vaccinale. Lei è, tra gli opinion leader, quello che con più fermezza si è schierato a favore della vaccinazione obbligatoria. Perché è ancora così diffusa l’area degli indecisi?
“Intanto io sull’ampia diffusione degli indecisi sono prudente perché se andiamo a stringere, sulla base dei numeri e delle statistiche quest’area comprende tra i cinque milioni e mezzo e i sei milioni di italiani. Su 60 milioni non mi sembrano tanti. La cosa che mi conforta ulteriormente è che sì, dentro questo bacino c’è una minoranza particolarmente rumorosa che sembra particolarmente resistente, però gli ultimi passi compiuti dal governo, in particolare l’estensione del green pass con il super green pass, hanno avuto una funzione di stimolo rispetto alle nuove vaccinazioni. Quindi la quota dei resistenti si sta ulteriormente riducendo. In quella quota c’è un po’ di tutto: ci sono le strumentalizzazioni politiche da parte della destra più radicale; ci sono persone che per cultura e ideologia guardano con avversione a tutto ciò che arriva dalla scienza e in particolare da Big Pharma; poi c’è chi è impaurito, chi non ha sufficienti informazioni, chi ha problemi con le tecnologie e fatica a prenotarsi, chi vive solo e non esce di casa. Insomma, quando diciamo no vax intendiamo cose molto diverse tra loro. Detto questo, il vero problema, come dimostra la variante Omicron, inizialmente variante sudafricana, è che fino a quando non vaccineremo l’altra metà del pianeta, non ne usciremo mai. Consideriamo che in Occidente il tasso di vaccinazione è del 66% e in Africa è al 7%. Non è un caso che la nuova variante venga da quella parte di mondo. Se lì il virus continuerà a girare liberamente, le mutazioni ossia le varianti, saranno sempre più numerose e pericolose”.
C’è un massiccio travaso di risorse pubblicitarie dall’editoria tradizionale alle grandi piattaforme digitali come Google e Facebook. Quest’anno più della metà della pubblicità globale è andata a loro. è un processo inevitabile o andrebbe in qualche modo regolato? E come possono difendersi i giornali?
“Quest’anno si consolida uno strapotere. La quota pubblicitaria degli over the top, come lei fa notare, ha superato per la prima volta di gran lunga quella delle piattaforme informative tradizionali. I giganti del web sono gruppi internazionali che fanno ricavi corrispondenti al Pil di paesi come l’Ungheria o il Messico. E li fanno soprattutto grazie ai dati che noi gli forniamo gratis e di cui loro fanno un uso commerciale. Se insieme a questo strapotere si consegna loro anche il controllo del mercato pubblicitario credo davvero che ci sia il rischio di un nuovo Grande fratello o, come qualcuno dice, di una Spectre del terzo millennio. Già sanno tutto di noi e prima o poi attraverso la rete condizioneranno fatalmente anche i nostri orientamenti politici. Anche su quel versante sono molto avanti: sanno bene cosa pensano e come agiscono i singoli individui. La minaccia è reale ed è molto pericolosa”.
Come ci si oppone?
“Lo si può fare solo attraverso la leva della politica. Sono i governi che si devono muovere, che devono trovare la forza di imporre tetti, limiti, argini. Occorre rivolgersi alle authority antitrust. La recente multa che l’antitrust italiano ha inflitto ad Amazon – oltre un miliardo e 125 milioni per abuso di posizione dominante – è un segno, poi si vedrà se arriverà fino in fondo. Ma non possono muoversi le singole istituzioni nazionali, è una battaglia che va fatta a livello sovranazionale. Una battaglia di democrazia economica, di civiltà. Per quel che riguarda l’editoria, penso che le piattaforme debbano pagare i diritti che spettano a chi l’informazione la produce. Serve un obbligo generalizzato, sancito per legge da governi e Parlamenti, e valido per tutti. Sta invece accadendo che i giganti del web facciano accordi con singoli editori, così fingendo di aver rispettato i principi di libertà e democrazia, mentre pagano l’equivalente di un piatto di lenticchie continuando a cannibalizzare tutto il resto senza pudore”.
Dall’aprile 2020 lei è alla guida della Stampa, un autorevole quotidiano nazionale con le radici ben salde a Torino. C’è una specificità piemontese nel vostro modo di fare informazione? E a che punto è la vostra evoluzione digitale?
“La specificità piemontese attinge alla vocazione originaria di questo giornale nato quasi 160 anni fa e plasmato sulla figura dell’uomo che più di ogni altro ha voluto bene alla Stampa e l’ha orientata in un certo modo: Gianni Agnelli. Così come la città in cui risiedeva, così come il giornale di cui era editore, Agnelli aveva una straordinaria vocazione glocal, cioè un forte attaccamento al territorio nel quale era nato ma un’altrettanto straordinaria capacità di visione e osservazione degli orizzonti più vasti, del grande mondo globale. Credo che questo sia un valore che La Stampa ha portato avanti negli anni e che io voglio non solo mantenere ma anche rafforzare. La specificità del territorio è legata soprattutto al pragmatismo e alla volontà e capacità del lavoro, del fare, dalla grande fabbrica fordista in poi. Ora Torino deve ritrovare la sua vocazione, perché la fabbrica fordista non c’è più ma le sue eccellenze ci sono ancora dentro la città e dentro la regione. Penso alle catene del food, alle innovazioni tecnologiche legate allo spazio, alle fondazioni bancarie, alle università, al Politecnico. Le risorse ci sono tutte, si tratta di metterle a sistema e di proporle in modo più convinto e determinato al resto del Paese e del mondo. Noi vorremmo aiutare la città, la regione a fare tutto questo e la trasformazione digitale è fondamentale anche per noi in questa chiave”. (Isabella Liberatori)