Kiev e le città dell’Ucraina assediate oggi dall’esercito della Russia riportano il ricordo scomodo di Sarajevo e dei centri urbani di Bosnia annichiliti da un’altra brutta guerra che resta una ferita nel cuore dell’Europa e richiama il senso di sperdimento sospeso nelle coscienze di oggi di fronte al nuovo conflitto. La tragedia di allora, custodita nelle lettere degli assediati di Sarajevo, è memoria rimossa e polverosa. Negli anni a venire, leggendo le memorie epistolari dei cittadini ucraini in guerra, potremo misurare e vergognarci della stoltezza che oggi pare avere la meglio. Si plaude alla difesa di Kiev, ma nell’arena i morituri restano soli a pagare il costo di lacrime e sangue di ogni guerra. Esiste una guerra tanto piccola che non produce morti, violenze, distruzioni? Eppure, è difficile accettare anche questa guerra in Ucraina, accettare che si faccia, che appaia inevitabile.
Disperazione contagiosa
La Tv e i nuovi media hanno il potere di trasformare i conflitti in un orrido circo offerto a quanti, comodamente seduti sul divano, guardano morituri del terzo millennio. I fantasmi tornano a occupare la mente. E giochiamo con loro. A fronte delle città assediate e distrutte dagli invasori russi, in noi che viviamo altrove possono crescere i dubbi. Ci chiediamo, in segreto, se Kiev farà analoga fine di Sarajevo, città divenuta per i lontani un mito trasfigurato della resistenza eroica; un ricordo sinistro, ossessivo per gli abitanti prigionieri dell’assedio divenuto orrore per le sue vittime. Le cronache ne misurano le distruzioni, ma dobbiamo alle lettere degli assediati se percepiamo l’abisso dell’esistenza. Le lettere da Sarajevo svelano una solitudine distruttiva, una disperazione contagiosa e opprimente di persone che respirano l’abbandono e sperimentano il venir meno della voglia di vivere tra le macerie come animali braccati.
Memoria dimenticata
Già; lettere in forma di poesia, di narrazione, di articoli, diari, stampate o vergate a inchiostro. Di gente famosa, comune o di bambini che le conservano in piccoli e impensabili ripostigli dove si rifugiano con la mente per non soffocare nei rifugi antibombe. Per esorcizzare la paura. Scritti che riportano soliloqui con la propria anima, dove le paure ingigantiscono come ombre cinesi e la speranza diventa piccola come lanterne lontane nella notte sul mare in tempesta. Se si torna a sfogliare queste lettere da Sarajevo, si può vedere sotto una luce nuova anche la guerra in Ucraina, l’assedio di Kiev. Gli eroismi appaiono costruzioni di un’enfasi per sorreggere la resistenza; le fragilità sono più vere e struggenti. Sarajevo memoria dimenticata. Ora ritornata con nomi diversi. I sopravvissuti l’avevano tramandata. Ma quel racconto è stato rimosso. E una mattina, prima dell’aurora le armi sono tornate a crepitare micidiali.
Nel quarto anno di guerra
L’emozione è tanta ma non fino a esiliare in perpetuo la guerra dall’Europa. “Ho visto cose che nessun bambino/dovrebbe vedere mai/ho visto gente fuggire via/ho visto i cecchini sparare/ho visto le strade della mia città/prigioniere dei carri armati/ho visto le mura della mia scuola/cadere sotto i fiocchi di neve”. È l’inizio di una poesia disincantata che apre una lettera da Sarajevo. Potrebbe datarsi ugualmente dalle città ucraine. “Qualcuno di noi sopravviverà certamente – scriveva, in una lettera lunga e dolente da Sarajevo, lo scrittore Ozren Kebo nel quarto anno di guerra -, a lui dovrete chiedere come abbiamo vissuto”.
Insistere sulla dignità
Fa pensare l’avvio della sua lettera. “Siamo già nel pieno del quarto anno. Non mi sento uno che festeggia, né sono in cerca di auguri, tuttavia voglio riassumere alcune cose, e se devo scegliere, dalla mia incredibile collezione, quello che più mi ha colpito, mi sorprendo perché non è il massacro al mercato, o quello della prima fila per il pane, in via Miskina, nemmeno la strage della scolaresca uccisa a scuola con la maestra. No, è un’immagine bizzarra dell’aprile ‘92, quando è iniziata la guerra… l’unico episodio buffo nella valanga di sfortuna rotolata su Sarajevo…Se la disgrazia si prolunga, come nel nostro caso, allora insistere sulla dignità diventa maleducazione”. Perché – si chiede Kebo – scegliere, quasi inconsciamente, un’immagine in fondo innocente, quasi a cancellare il male successo dopo? Ecco una domanda senza risposta… Poi sono cominciati i bombardamenti…, è seguito l’orrore che tutti vorremmo dimenticare, se potessimo”. Si aspettano lettere dall’Ucraina per finirla con la guerra?