“Quando Mario Draghi, nel suo famoso discorso a Londra, nel luglio del 2012, pronunciò la famosa frase ‘Whatever it takes’, chiosò con un ‘And, believe me. It will be enough’. Credetemi, disse, sarà abbastanza. Quella seconda parte, probabilmente, ha acquistato per me molto più valore della prima, soprattutto risentendola in questi giorni, mentre ancora, con pazienza, attraversiamo un’altra fase della pandemia”. Inizia così un articolo dedicato al valore dell’identità e firmato dall’Amministratore Delegato di Poste Italiane, Matteo Del Fante, per i lettori de Linkiesta Magazine e di Turning Points del New York Times. Il momento in cui Draghi pronunciò quella frase “fu un segnale ai mercati che, qualsiasi cosa sarebbe accaduta, si sarebbe generato un meccanismo virtuoso, una controazione pratica e chiara che avrebbe supportato le economie dell’Euro e ridotto il rischio di contagio finanziario – ricorda Del Fante – Fu un momento rivelatorio perché svelava un senso di misura e di contenimento, e, nel believe me, quel senso di fiducia fra le persone che dovrebbe rimanere alla base di ogni interazione umana, che sia sociale, politica o di tipo economico”.
Un nuovo senso di identità
Secondo Del Fante, il “Believe me, it will be enough” pronunciato da Draghi “è l’affermazione di un senso di identità, il ribadire che quello che siamo e facciamo è abbastanza, se la matrice valoriale è eticamente corretta, per risolvere i problemi. E per cambiare le cose”. L’Ad di Poste ricorda a questo proposito i periodi più duri della pandemia, in cui “l’isolamento del lockdown ci ha messi di fronte a una vita di ripetizione e di quarantene, un mondo sospeso ma, in fondo, un momento in cui abbiamo dovuto rivedere quello che siamo e che vogliamo”. Un periodo in cui negli Stati Uniti è emerso il fenomeno della Great Resignation o Big Quit, “dimissioni in massa di dimensioni talmente ingenti da essere registrate nelle statistiche del lavoro statunitensi”, ricorda Del Fante. “Il fermo biologico delle quarantene ha creato un senso nuovo di identità. E un nuovo insieme di desideri e di priorità. Ed è questo tema, dell’identità, da un lato come appartenenza a una avventura collettiva, il ‘sarà abbastanza’, perché troveremo assieme come sbrogliare la matassa, e, dall’altro, come valore riconquistato di fare le proprie scelte, che vedo come temi fondamentali per il prossimo anno, se non per tutto questo decennio”.
La decade dell’identità
“Siamo nella decade della identità”, prosegue Del Fante. Citando il libro di David Birch “Identity is the new money”, che ribalta i rapporti tra l’identità e la moneta, aggiunge: “L’identità diventa valore perché nel mondo dei prossimi anni, in cui i social media diventeranno promotori di mondi virtuali, il metaverso e simili esperienze fra mondo fisico e virtuale, tutti avremo bisogno di riaffermare e decidere quanto del nostro insieme di preferenze, scelte valoriali, gusti e desideri vorremo rivelare e far parte della nostra persona”.
Identità come matrice di valori
Il fenomeno del Big Quit è, per Del Fante, “un segno inequivocabile che la pandemia ha riscritto una parte importante del nostro codice comportamentale”. “A quello – prosegue l’Ad di Poste – si aggiunge la propensione a lavorare da casa e a dare sempre più valore ad altri tipi di ritorno, non solo quello economico, ma anche quello sociale e ambientale. E all’appetito per equità, trasparenza e correttezza nelle relazioni sociali e professionali. L’identità di ognuno di noi è una matrice, un insieme di cose che reputiamo giuste e, in questo mondo iperconnesso, stiamo tutti imparando dagli altri, anche dai social media, che esiste un sistema di valori globali”. Secondo Del Fante, la rete “ci ha fatto aprire gli occhi al mondo, forse di più nella noia apparente dei giorni di quarantena. E abbiamo scoperto che l’empatia è un valore universale, come il desiderio di lasciare alle prossime generazioni un mondo migliore”.
Identità come presenza digitale
La pandemia ha accelerato altri aspetti della nostra identità: la crescita più che esponenziale dello Spid, fino a oltre 25 milioni di italiani, il lancio di strumenti come il Green pass e il Passenger Locator Form per i viaggiatori, il lancio di piattaforme per il controllo dei casi e delle vaccinazioni. “Di fatto, il futuro della nostra identità, come riferimento amministrativo e relazionale con il sistema dei pagamenti e commerciale, passa dalla creazione di un profilo digitale, sempre più connesso ad altri servizi”, sottolinea Del Fante. “E, se crediamo che lo sviluppo tecnologico ci farà sempre di più gestire ogni cosa attraverso software e robot, non è altro che un bene – aggiunge Del Fante – La standardizzazione delle informazioni ne permettono una gestione migliore e, con l’avvento delle blockchain, la creazione di una identità digitale è il primo mattone per la tokenizzazione o la creazione di codici unici che riguardano non solo i bitcoin ma ogni asset e soggetto che può essere codificato. E l’identità digitale diventa il token, la chiave di accesso alle piattaforme sempre più complesse e omnicomprensive”.
Identità digitale o direzione digitale?
Del Fante passa quindi ad analizzare una delle sfide più interessanti di questa transizione sociale, fra spazio reale e virtuale: “La estrema liquidità della rete potrebbe permettere a tutti di diventare padroni delle proprie informazioni ed usarle in linea con i propri valori”. “Da un lato – spiega l’Ad – tutti abbiamo la preoccupazione che i nostri dati possano essere compromessi, ma, man a mano che entreremo nello spazio liminale fra mondo fisico e virtuale, potremo controllare sempre di più la nostra presenza virtuale. E, da un certo punto di vista, quello che siamo e che vogliamo diventerà una maniera per influenzare processi decisionali. Da tempo, vedo la digitalizzazione e la creazione di piattaforme di creazione di servizi digitali e in futuro di tokenizzazione come un obiettivo imprescindibile, un diritto universale di ogni cittadino”.
Identità come mattone della sostenibilità
Del Fante conclude ricordando l’eredità lasciata dalla pandemia: in questi mesi, abbiamo imparato che “quello che facciamo conta”. “I nostri comportamenti personali hanno un notevole impatto sull’ambiente circostante. Se riusciremo, in questo spazio della nostra nuova identità fisico-digitale, a sapere qualcosa di più di noi stessi, o delle organizzazioni per cui lavoriamo, probabilmente potremo essere noi stessi un mattone chiave anche della transizione ecologica e climatica”. Secondo l’Amministratore Delegato di Poste Italiane, “la nostra identità personale, quando diventa collettiva, può cambiare il mondo. Il fatto che le nuove generazioni ci diano sempre più feedback sui nostri comportamenti (e chi ha figli in età adolescenziale sa di cosa parlo…) ci permette di aggiustare il nostro senso di identità e di presenza nel mondo, adattandoci a una specie di identità universale che tende al meglio. E questo, spero, sarà, se non abbastanza, molto. Anche – conclude – per ricostruire quel senso di fiducia e di empatia di cui abbiamo tutti bisogno mentre entriamo in un periodo di grandi trasformazioni”.