Quando tra il 1890 e il ‘91 in piazza della Dogana a Trieste cominciavano i lavori per il nuovo Palazzo delle Poste agli ordini dell’architetto Friedrich Setz dell’Imperial Ministero del Commercio di Vienna, l’Italia faceva i conti con il linciaggio e la strage di 11 connazionali a New Orleans, massacrati dopo essere stati assolti per l’omicidio del capo della Polizia solo perché italiani. L’America mise a tacere il nostro sdegno con 25mila dollari. Eravamo una Italietta. Questo Palazzo invece ha tutta l’imponenza di un Impero che faceva ancora paura al mondo. Oggi è rimasto l’unico esempio di architettura mitteleuropea tra i monumentali edifici delle Poste. Durante il fascismo fu raso al suolo quello di Trento, che era stato costruito sempre ad opera di Friedrich Setz. A Trieste si limitarono a distruggere la statua alta due metri in marmo di Francesco Giuseppe I “piissimo”, come viene citato nei documenti da “tramandare alle future generazioni”, al termine della Prima Guerra Mondiale, nel tripudio dell’unità conquistata, lasciandone intatto solo il piedistallo. Tutto il resto è rimasto, imponente e maestoso, a segnare un’epoca ormai tramontata. I lavori cominciati nell’ottobre del 1890 furono ultimati solo quattro anni dopo.
Una testimonianza neorinascimentale
Ma in quella piazza, che adesso si chiama Vittorio Veneto, c’erano le dogane, delle saline e il mare. Per dare solidità e sicurezza all’edificio furono piantati 5000 pali di legno, su cui poi “fu posata una base di appoggio uniforme”, come spiega il funzionario delle Poste Egidio Scherlich. Friedrich Setz si ispirò al Palazzo di Giustizia di Vienna, e in effetti confrontandone le immagini sembra quasi una copia perfetta. Lo stile è eclettico neo-rinascimentale, tipico degli edifici austriaci dell’epoca. La sala centrale al pianterreno, con una scalinata monumentale in fondo, ha un tetto in vetro, “a falde in acciaio e la parte trasparente in cristallo”, come sottolinea Scherlich. Sulla destra dello spazioso atrio che si apre dopo l’ingresso c’è il Museo Postale e Telegrafico della Mitteleuropa che conserva oggetti e immagini che paiono rimandare a figure impettite dagli sguardi statuari e i baffi a punta rigidi come manubri. È stato pure ricostruito un Ufficio Postale dell’epoca con mobili ed attrezzature appartenenti alla Posta Reale Ungherese di fine 800. Il fatto è che Trieste era una città importante dell’Impero, essendone diventata dopo la perdita di Venezia il porto principale. Già nel 1719 era il porto franco della Monarchia Asburgica. Nel 1794 era stato attivato un collegamento postale diretto con Vienna e dal 1850 era entrata a far parte dell’Unione postale austro-germanica della “Reale Mitteleuropa”, luogo di riferimento essenziale per via di un traffico merci del suo scalo marittimo che diventava ogni anno più intenso.
L’importanza storica di Trieste
Alla fine l’imponenza maestosa di questo del Palazzo delle Poste certifica in qualche modo l’importanza stessa di Trieste. Ed è questa atmosfera che respiri, questa grandezza appartenuta a un’epoca che stava correndo a grandi passi verso il suo crollo. D’altro canto il Palazzo era stato voluto persino troppo ampio per ospitare solo le Poste. Fu concepito perciò diviso in due, su un’area vastissima di circa 7.100 metri quadri. Metà per gli Uffici Postali, che si affacciavano sulla piazza, e l’altra metà per l’Intendenza della Finanza. Ingressi separati, ovviamente: le Poste in piazza Vittorio Veneto, la Finanza su largo Panfili. Il primo e il secondo piano al centro presentano sei colonne intervallate da grandi finestre timpanate. All’ultimo piano le bifore sono affiancate da sei statue che rappresentano la Navigazione, la Ferrovia, il Commercio, la Viticoltura, l’Agricoltura e l’Industria. Al primo piano c’è un lungo corridoio con 16 sportelli per i clienti. Se uno alzava lo sguardo vedeva il soffitto splendidamente decorato del velario. Al secondo piano si accede tramite uno scalone e, come spiega ancora Scherlich guidandoci in questa visita, “ci sono gli uffici amministrativi sulla destra e quelli immobiliari e tecnici sulla sinistra”. La stanza del direttore della filiale “è quella in fondo al corridoio, ad angolo tra via Roma e via Milano”. Il terzo piano oggi è esterno alle Poste, aggiunge Scherlich, “ed è rimasto di proprietà del Ministero delle Comunicazioni”. Il quarto piano, dove c’era il telegrafo, invece, è vuoto. L’edificio ha avuto più di un restauro. Quelli più importanti dopo il 1945, “quando – racconta la nostra guida – ci cadde sopra una bomba che distrusse il velario del tetto decorato con emblemi fregi e stemmi dell’impero, colpì l’atrio riservato al pubblico ed esplose all’interno, devastando la pavimentazione di lastre colorate e provocando danni sulla muratura, oltre a rompere tutti i vetri”. Il Palazzo delle Poste di Trieste è stato rimesso a nuovo, ma non c’erano più i soldi per rifarlo come prima: gli effetti provocati dai magnifici colori del velario non ci sono più. Comunque altri restauri importanti sono stati fatti nel 2008 e 2009. Girando attorno uno poi resta catturato dai due puttini posti sui timpani delle due entrate laterali in via Milano e in via Galatti. Uno sembra un angelo che suona la trombetta e impugna il frustino del postiglione. L’altro ha sulla testa il berretto tipico degli uffici postali austro-ungarici e con la borsa a tracolla semiaperta è immortalato nell’atto di consegnare due lettere. Il tempo l’ha conservato così com’era. Qualche vita fa.
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