Con l’insipienza che ha preceduto e accompagna la guerra di aggressione della Russia all’Ucraina, torna attuale un interrogativo che si trascina dai tempi di Fedor Dostoevskij (1821-1881): la Russia è Occidente? La ragione sbigottita che avvolge l’Europa rischia infatti di mandare in soffitta tre secoli di ricerca dell’identità culturale europea: rischia l’amnesia o la mutilazione. Non è in gioco soltanto l’economia strangolata dal gas, ma un modo di essere umanità e pensare la storia. Quale Paese si può permettere di tagliare parte delle proprie radici pensando di potercela fare da solo? Sperduti nella globalizzazione si rischia di volare nella tempesta della notte, senza radar. La guerra in Ucraina imbarazza non solo gli europei dell’Unione, ma anche del Centro e dell’Est. La stessa Russia, al di qua degli Urali è, a suo modo, Europa.
Le contraddizioni della guerra
La guerra è diventata un seme di contraddizioni ingarbugliate. Si condanna l’aggressione, si teme l’addio all’universo culturale russo, l’estraniarsi da Dostoevskij, Tolstoj, Pasternak che pure hanno vissuto in maniera drammatica il rapporto tra Russia ed Europa occidentale: odio e amore, ripulsa e attrazione. La cultura europea senza l’introspezione russa patirà una mutilazione grave. Finisce un sogno possibile di orizzonti arcobaleno. Le lettere c’entrano qualcosa in questa polarizzazione rischiosa? Son proprio le lettere dei grandi autori, artisti, pensatori, prima ancora delle loro opere, a svelarci la radice interiore dei capolavori. Prima che prendere forma in romanzi, racconti, teatro, novelle e saggi, questo amalgama esistenziale di via vai tra Russia ed Europa con le vicende quotidiane ha macerato e inquietato l’animo degli autori. È stato così in particolare per Dostoevskij come si apprende dalla raccolta delle sue Lettere.
Domanda drammatica
Per noi europei occidentali, rimane una stella del nostro universo culturale: tanto diverso e tanto vicino. Avrà senso dover ignorare o rifiutare Memorie del sottosuolo, i Fratelli Karamazov con la figura del Grande Inquisitore, L’idiota, Delitto e castigo? Le sue lettere svelano un Dostoevskij che non dimentica l’umanità spicciola, la gente, il popolo con le sue credenze e le sue passioni, i dubbi che accompagnano l’intellettuale genuino. Uno degli interrogativi che lo hanno assillato è stato la Russia: è occidente o oriente? Domanda che s’insinua nella propaganda di guerra e si ripropone drammaticamente non solo a noi europei, ma ai russi, agli ucraini. E sbaglieremmo se il conflitto fosse circoscritto a una questione di armi, sanzioni, stratagemmi pur di giungere a un accordo qualsiasi. Dostoevskij, definito scrittore di frontiera che agisce sul limitare, sul confine tra vita e morte, letteratura e verità, salvezza e abisso, bene e male, fede e ateismo, ha scritto in cerca di una identità tra Russia ed Europa. La guerra ha messo in gioco un ripensamento di questa identità, ci chiede di svegliarci dalla pigrizia intellettuale.
La vita è dentro di noi
Leggendo le missive (da lui scherzosamente considerate capolavori di alta letteratura) ci si addentra infatti nella vita intima dello scrittore, che a 18 anni confessa al fratello di volersi dedicare a svelare il mistero dell’essere umano, o che chiede perdono alla persona amata per aver perso tutto al gioco. Non mancano racconti di scene quotidiane, comiche e divertenti, o drammatiche come la condanna a morte e il confino in Siberia. “Fratello, amico mio caro! È deciso! Sono stato condannato a 4 anni di lavori forzati”, scriveva Dostoevskij il 22 dicembre 1849, raccontando quell’ultimo minuto di vita che gli restava sul patibolo, prima di sapere di aver ottenuto la grazia. “Mi sei tornato in mente tu, fratello, e i tuoi cari; nell’ultimo istante tu, soltanto tu, eri nei miei pensieri, e lì ho capito quanto ti voglio bene”. Il sollievo nel sapersi ancora vivo. E quella riflessione che segue nella lettera: “La vita è vita ovunque, la vita è dentro di noi, non al di fuori. Intorno a me ci saranno altri uomini, ed essere un uomo tra gli uomini e restarlo per sempre, qualunque disgrazia capiti, senza lamentarsi, non perdersi d’animo – ecco in che cosa consiste la vita”.
Confronto continuo
Nell’agosto del 1867 Dostoevskij scrive ad A. Majkov: “Dovunque e in tutto vado fino all’estremo limite, durante tutta la vita io ho oltrepassato i limiti”. In una lettera al fratello Michail del 1839 scriveva: “L’uomo è un mistero. Noi dobbiamo svelarlo. Anche se impiegherai l’intera vita per svelarlo, non dire che hai perso tempo; io mi occupo di questo mistero, poiché io voglio essere un uomo”. Inoltre, anche Dostoevskij – come Tolstoj – visse un confronto continuo, tormentoso e quasi personale con la figura di Cristo. “Sono un figlio del secolo del dubbio e della miscredenza e so che fin nella tomba continuerò ad arrovellarmi se Dio sia. Eppure, se qualcuno mi dimostrasse che Cristo è fuori dalla verità e se fosse effettivamente vero che la verità non è in Cristo, ebbene io preferirei restare con Cristo piuttosto che con la verità”. E con le introspezioni esistenziali tanti interrogativi, nelle lettere, sui destini di Russia ed Europa sempre in bilico tra salvezza e perdizione. “Mi chiamano psicologo – scrive Dostoevskij – non è vero, io sono soltanto un realista nel senso più alto, vale a dire raffiguro tutte le profondità dell’anima umana”.