telegramma

In 160 anni di vita, Poste Italiane ha contribuito a scrivere la storia del Paese e a collegare gli italiani, anche dal punto di vista sentimentale. Insieme alle lettere, almeno fino al 2002, anche i telegrammi hanno rappresentato un filo diretto tra famiglie lontane. Lo racconta il Resto del Carino nella cronaca di Pesaro, attraverso la testimonianza di un portalettere.

L’ultimo fattorino

Anche a Pesaro vi fu un grande via vai di lettere, cartoline e telegrammi che aiutarono la comunicazione tra Nord e Sud, dall’Adriatico al Tirreno, ricorda il quotidiano, grazie anche all’imponente struttura del Palazzo delle Poste, costruito attraverso la ristrutturazione dell’antica chiesa di San Domenico. Ricorda Pietro Giunta, ex fattorino, oggi portalettere, una figura, si legge, “molto ricercata, quasi leggendaria: deve saper leggere, scrivere e conoscere un po’ di francese, la lingua parlata dai Savoia”.

Di corsa con i telegrammi

Il racconto di Giunta parte proprio dal ruolo di fattorino: “Il mio lavoro era quello di consegnare i telegrammi nelle sei zone di recapito in cui era divisa Pesaro. Eravamo 12 ragazzi, tutti giovani. La giornata era divisa in due turni: dalle 8 alle 14 e dalle 14 alle 20. Sapevamo che bisognava iniziare a correre quando si sentiva un rumore sordo di plastica che sbatteva; vuol dire che era arrivato un telegramma. Entro un’ora andava recapitato e noi ‘volavamo’ sopra i nostri motorini, anche per 5 o 6 volte ad ogni turno. In 17 anni di servizio ho dovuto cambiare ben quattro motorini, dei quali l’ultimo con 90.000 chilometri”.

Consegna di sorrisi e pianti

E ancora: “Sono stato l’ultimo fattorino di Pesaro, fino al 2002 – prosegue – quando questo mestiere è andato in pensione e sostituito dal computer, smartphone e messaggi. Mi è capitato di consegnare molti telegrammi, specialmente per matrimoni e funerali: ogni giorno vedevo risate e festeggiamenti, ma anche molti pianti ed abbracci. Ora è tutto più distaccato e freddo: noi, che eravamo giovani, facendo questo mestiere ci rendevamo conto di come la vita non fosse uguale per tutti”.