La grande bellezza del calendario postale nato come un dono

Certe scoperte si fanno sempre per caso. Io lo avevo capito da tempo che Alfonso, il barbiere, era un tipo particolare, però la bottega era vicino casa e lui sapeva fare il mestiere. Questa venne fuori un tardo pomeriggio che eravamo soli: la serranda mezza abbassata, le basette ancora da regolare.

“C’ho questa passione sfrenata” confessa a un certo punto a mezza voce. Apre un cassetto, mi poggia in grembo un paio di libricini. Li riconosco dal profumo: sono i calendarietti natalizi che negli anni Cinquanta i barbieri regalavano agli avventori.

“Questa passione per le femmine?” gli domando.

“Macché…” replica lui quasi offeso. “Per i calendari!”.

Siccome lo guardo perplesso, lui posa la forbice.

“Vieni che ti faccio vedere una cosa”.

Mi ritrovo nel retro della bottega di Alfonso, con i capelli mezzi tagliati, la mantella addosso, gli occhi che cercano di abituarsi alla semioscurità.

“Tengo la luce bassa per non rovinarli…” sussurra. Ma poi la accende. E in un lampo vengo travolto dalle pareti colorate di questo ripostiglio che non avrei immaginato mai, come se dietro al negozio di barbiere ci fosse una macchina del tempo per tornare all’epoca delle Regie Poste. “Tutto è cominciato nel 1865 o giù di lì” dice Alfonso carezzandone uno arancione, senza disegni, che è chiaramente il più antico. “Ce n’erano di due tipi. Quelli a forma di quadretto, che facevano bella mostra di sé appesi alle pareti di uffici o abitazioni, e quelli a libretto, da tenere a portata di mano e da consultare casomai all’occorrenza. Si tratta dei calendari postali che i portalettere donavano ai clienti abituali”. Poche volte mi è capitato di vederlo così serio. Quando taglia i baffi alla gente in genere si dà al pettegolezzo, però sempre con un sorriso solare. “L’iniziativa era stata loro, dei postini: “Se esiste quello del farmacista e del barbiere, perché non dev’esserci anche un calendario nostro?” deve essersi detto allora qualche portalettere che ha poi convinto altri colleghi a consorziarsi, per stamparne da distribuire ai loro clienti. Non è strano, quindi, che nello stesso anno compaiano calendari postali diversi: quello offerto dai portalettere di Roma e quello, in altra veste grafica, offerto da portalettere o fattorini del telegrafo di un’altra città”. Lo dice spostando il dito con precisione su un paio di calendari, appesi uno accanto all’altro, che portano lo stesso anno in copertina.

“Come hai incominciato a collezionarli?”.

E ad Alfonso stavolta un sorriso gli scappa.

“Un giorno entra e si accomoda un signore stempiato. Quando gli chiedo che taglio desidera lui risponde: “Voglio l’acqua Chinina-Migone”. Poi, quando vede che non capisco, caccia dalla giacca un calendario postale di cento anni fa e me lo mette sotto il naso: “Questa!” esclama”. Alfonso indica l’angolo del calendario in questione, dove la pubblicità dell’acqua anticanizie di A. Migone e C. promette, con una fragranza deliziosa, di far scomparire la forfora e assicura una lussureggiante capigliatura fino alla più tarda vecchiaia, in bottiglie da un litro a sole 8,50 lire. “Il signore non l’ho più visto ma gli comprai il calendario e ne ho cercati ancora” prosegue il barbiere. “Perché qua dentro c’è la storia, la cultura e un po’ anche la vita: le fasi astronomiche della luna, le eclissi, le feste “mobili” come la Pasqua, l’inizio delle stagioni mescolate insieme alle inserzioni pubblicitarie per rimedi contro l’anemia – come i “Glomeruli Ruggeri” – cantine di vino e olio che spedivano in tutto il mondo, capi di abbigliamento a prezzi convenienti; e poi le invenzioni e le novità del tempo: il treno, il piroscafo, l’aereo, il telegrafo. E naturalmente le prima donne portalettere” conclude portando lo sguardo verso un calendario in cui una ragazza è ritratta come un Mercurio al femminile che consegna la posta. Nel confronto i calendari profumati dei barbieri sbiadiscono e a me sembra che Alfonso tenga questa collezione così nascosta, qui dietro, per una sorta di pudore: perché la bellezza, inseguita – come immagino – nei mercatini domenicali di chincaglierie e antiquariato, si protegge, si mostra solo all’occorrenza e si regala a chi la merita. Così come doveva essere venuto in mente a quel portalettere e ai suoi colleghi, quel giorno di un secolo e mezzo fa in cui avevano deciso di stamparli e donarli alla gente. Mi sento fortunato ad aver ricevuto questo pensiero inatteso e, al tempo stesso, mi pare di essere un poco inadeguato. Perciò guardo quel muro variopinto di calendari, con le facce splendenti di postini baffuti in divise quasi militaresche; guardo il barbiere Alfonso che mi osserva da vicino, felice come un bimbo; e riesco a dire una cosa soltanto.

“Ora me le regoli le basette?”.

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