Lettere disarmanti. Che non polemizzano per sopraffare, ma spiegano e valorizzano ogni possibile punto di incontro con chi la pensa diversamente. Allo stesso tempo rendono attraenti e ragionevoli le proposte della fede cristiana che si diffonde per attrazione e non per proselitismo. Si parla di 40 lettere aperte che Giovanni Paolo I aveva scritto dal 1971 al 1975 sul mensile “Il Messaggero di Sant’Antonio” quando era patriarca di Venezia.
Il volume di Giovanni Paolo I
Le lettere di Albino Luciani, passato alla storia come il papa del sorriso, furono raccolte e pubblicate nel 1976 in un libro dal titolo “Illustrissimi” con cui l’autore si rivolge a personaggi della mitologia, della storia e della letteratura italiana e straniera o perfino a Gesù Cristo e ai santi per trattare argomenti di interesse sociale, politico, etico, culturale, religioso nel presente. “Illustrissimi” come metodo di annunciare il Vangelo nel nostro tempo è tornato attuale perché in questa prima domenica di settembre papa Luciani viene proclamato beato a 44 anni dalla sua morte avvenuta dopo soli 33 giorni di pontificato. Morte rimasta nella credenza popolare tuttora inspiegabile. Questi scritti – osserva il vice postulatore della Causa di canonizzazione – mettono bene in luce lo stile oratorio del futuro papa, acculturato ma allo stesso tempo semplice e diretto.
La spiritualità
Le Lettere immaginarie di Luciani mettono anche in bella evidenza la sua straordinaria cultura e la sua spiritualità limpida e genuina; una spiritualità “montanara” per la sua essenzialità e semplicità, ma ben radicata nelle virtù della fede vissuta come sereno abbandono in Dio, della speranza fondata sulla misericordia e provvidenza di Dio, della carità che è l’anima vera della vita di ogni discepolo di Cristo. Tra i destinatari delle Lettere immaginarie ci sono nomi come il Barbiere di Siviglia, Chesterton, Dickens, Goethe, Goldoni, Ippocrate, Marlowe, Petrarca, Penelope, Marconi, Peguy, Pinocchio, Re David, san Luca, Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux, Trilussa, Twain. “Converrà – si legge tra l’altro nella lunga lettera a Figaro, barbiere di Siviglia dedicata alla questione giovanile – che ci dimostriamo molto aperti e comprensivi verso i giovani e verso i loro sbagli. Gli sbagli, però, bisognerà chiamarli sbagli; e il Vangelo, presentarlo “sine glossa”, senza cincischiarlo per amore di popolarità. Certe approvazioni non fanno piacere: “Guai a voi – dice il Signore – quando tutti gli uomini diranno bene di voi, perché così i vostri padri trattavano i falsi profeti”.
Per i giovani
I giovani, del resto, amano che si dica loro la verità e intuiscono l’amore dietro la parola amorosamente franca e ammonitrice. Dovremo anche accettare che i giovani siano diversi da noi anziani nel modo di giudicare, di comportarsi, di amare e di pregare. Anch’essi hanno – come l’avete avuta, Figaro, voi – una parola degna di ascolto e di rispetto da dire al mondo. Converrà accettare di dividere con essi il compito di fare avanzare la società. Con un’avvertenza: che essi premono di più sull’acceleratore e noi, invece, più sul freno; che in ogni caso, il problema dei giovani non va staccato dal problema della società; la loro crisi è, in parte, crisi della società”.
La forza attuale delle lettere
Sul progresso, nella Lettera a Chesterton scrive Luciani: “La conclusione del monaco, che è poi la tua, caro Chesterton, è giusta. Togliete Dio, cosa resta, cosa diventano gli uomini? In che razza di mondo ci riduciamo a vivere? – Ma è il mondo del progresso, sento dire, il mondo del benessere! – Sì; ma questo famoso progresso non è tutto quel che si sperava: esso porta con sé anche i missili, le armi batteriologiche e atomiche, l’attuale processo di inquinamento, tutte cose che – se non si provvede in tempo – minacciano di portare l’umanità intera a una catastrofe. In altre parole il progresso con uomini che si amino, ritenendosi fratelli e figli dell’unico Padre Dio, può essere una cosa magnifica. Il progresso con uomini che non riconoscono in Dio un unico Padre, diventa un pericolo continuo: senza un parallelo processo morale, interiore e personale, esso – quel progresso – sviluppa, infatti, i più selvaggi fondacci dell’uomo, fa di lui una macchina posseduta da macchine, un numero maneggiatore di numeri, un barbaro in delirio – direbbe Papini – che invece della clava può servirsi delle immense forze della natura e della meccanica per soddisfare i suoi istinti predaci, distruttori ed orgiastici”. Questi due assaggi di Illustrissimi sono una minima parte della forza attuale delle lettere di Luciani tanto caro alla gente per la sua umiltà e d’ora in poi ancora più caro dal momento che lo può anche pregare.